di Anna Messia
Il faro sulle mutue si è acceso con il caso Itas . Quanto l’Ivass (l’istituto di controllo assicurativo presieduto dal direttore generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi) ha chiesto nei mesi scorsi di modificare tempestivamente e profondamente l’assetto di governance all’assicurazione di Trento. Itas è una compagnia organizzata in forma di mutua. E in Italia di assicurazioni che adottano questo modello ce ne sono solo due. Itas, appunto, e la torinese Reale Mutua. Il vantaggio di queste società è che non devono pagare dividendi agli azionisti e gli utili vengono reinvestiti in azienda, oltre che riconosciuti ai soci in forma di sconti sulle polizze acquistate. Un modello che ha dimostrato di funzionare bene, non solo in Italia ma anche in Europa, dove le mutue hanno anche un’associazione di rappresentanza, Amice. Nei 28 Stati membri i circa 2.700 assicuratori organizzati in forma di mutua o di cooperativa sono più della metà del mercato e rappresentano il 30% in termini di premi con circa 400 miliardi, 400 milioni di soci e 430 mila dipendenti. Insomma, le mutue sono un pilastro portante delle polizze europee e non è un caso se, quando sono partite la riforma delle banche popolari e poi quella del credito cooperativo, in Italia il settore assicurativo mutualistico e quello cooperativo (in questo caso l’unico esempio è Cattolica Assicurazioni ) sono rimasti indenni.

Il faro, però, sì è acceso ora su Itas, compagnia nata nel 1820 per proteggere le case tirolesi dagli incendi. Negli anni l’assicurazione è diventata l’ottavo gruppo nazionale nel ramo Danni anche tramite acquisizioni. Come quella chiusa nel 2015, quando ha rilevato le attività italiane di Royal & Sun Alliance preparandosi a superare il miliardo di euro di premi (1,1 miliardi a fine 2017). La crescita è avvenuta mantenendo un forte legame con il territorio trentino in cui Itas opera, dove vanta 900 mila soci. Ma proprio questo legame con il territorio sembra essere finito nel mirino dell’autorità di controllo, che tra le oltre cose ha chiesto più competenze e professionalità e meno rappresentanza territoriale in cda. Le richieste di cambiamento sono arrivate dopo lo scandalo che ha colpito l’ex direttore generale Ermanno Grassi, finito in un’inchiesta per danni alla compagnia. In questi mesi c’è già stato un importante riassetto al vertice, con l’ingresso, a maggio scorso, di Raffaele Agrusti come direttore generale e la nomina di Fabrizio Lorez a presidente. Proprio in questi giorni Agrusti, ex cfo Rai ed ex amministratore delegato di Generali , ha presentato al consiglio il piano di rilancio, che, senza chiedere nuove risorse ai soci, punta a mettere in sicurezza la società in termini di Solvency II e prevede una forte crescita dei premi, da 1,1 a 1,7 miliardi in tre anni. Ma se dal punto di vista manageriale la situazione è sistemata, l’inchiesta sull’ex direttore generale ha scoperchiato pericolose debolezze nei sistemi di controllo interni alla compagnia che hanno richiesto il potenziamento dell’audit e delle funzioni di compliance. Non solo; Ivass ha anche chiesto alla compagnia di rimettere mano allo statuto. Per prevedere per esempio la figura di un amministratore delegato oltre che quella di un direttore generale, in modo che i ruoli di chi gestisce e di chi controlla siano più chiaramente definiti. Inoltre Ivass ha notato pericolose peculiarità nel sistema di nomina del cda, nel quale le grandi agenzie di assicurazione della compagnia possono avere un peso rilevante. Le agenzie principali (quelle che hanno un mandato di anzianità di almeno cinque anni e che intermediano almeno i 2/3 dei propri affari tramite Itas Mutua) hanno diritto in particolare a nominare parte dei soci delegati, i quali definiscono a loro volta il consiglio di amministrazione. Un vincolo, quello tra agenti e consiglieri, che, benché indiretto, l’Ivass vorrebbe venisse allentato perché potenzialmente fonte di conflitti d’interesse.

Lo stesso legame, in verità, si riscontra in Reale Mutua, anch’essa guidata da un direttore generale (Luca Filippone) e il cui statuto stabilisce che, «dei 200 posti di delegato, 150 saranno dall’assemblea ripartiti tra le agenzie nazionali secondo l’ammontare annuo dei rispettivi incassi». Insomma, cambiare le regole sugli agenti significherebbe modificare l’assetto che fino a oggi hanno avuto le mutue in Italia. Proprio mentre c’è chi fa notare che Reale, che ha un indice di solvibilità del 208%, all’ultimo esame dell’Ivass sulla valutazione dei rischi delle compagnie realizzato in ambito Solvency II ha ricevuto una valutazione superiore a diverse altre compagnie società per azioni.

Bisogna insomma stare attenti a non danneggiare modelli che funzionano bene. Intanto per quanto riguarda il tema-cooperative anche l’attenzione su Cattolica resta alta. Le voci di una possibile trasformazione in spa di erano intensificate soprattutto dopo l’ingresso nel capitale di Warren Buffet, diventato il primo socio con più del 9% in un gruppo in cui vale il voto capitario. Il tema della trasformazione in spa «non è in discussione e non è all’ordine del giorno», ha ribadito più volte l’amministratore delegato di Cattolica Alberto Minali sottolineando che «la cooperativa è un bellissimo sistema di governo, che deve essere mitigato, e non è un ostacolo alla crescita», mentre la società per azioni «ha i suoi problemi». Ma l’impressione è che il dossier non sia affatto chiuso. (riproduzione riservata)
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