Pagine a cura di Bruno Fioretti
Ammonta a 2.224,60 la pensione annuale media erogata dalle Casse di previdenza di nuova generazione, nate nel 1996 e comunemente note come «enti del 103» ai professionisti iscritti: biologi (Enpab), psicologi (Enpap), agronomi e forestali, geologi, attuari e chimici riuniti nell’ente pluricategoriale (Epap), periti industriali (Eppi), infermieri (Enpapi). Importo, peraltro, inferiore di 2,2 punti percentuali rispetto a quello del 2014 (2275,80 ).
Requisiti per il pensionamento e aliquote di contribuzione più favorevoli rispetto al resto dei lavoratori in questi anni si sono, infatti, rivelate un’arma doppio taglio in grado di favorire, da un lato, gli iscritti e, dall’altro, di penalizzare l’adeguatezza delle pensioni.
È quanto mette a fuoco il Centro studi di Itinerari previdenziali all’interno di un recente rapporto «Vent’anni di previdenza privata».
A poco è valsa la dimostrata sostenibilità del sistema previdenziale adottato dalle rispettive gestioni. Il legislatore, infatti, negli ultimi due decenni è stato più attento a capire come e quanto attingere dai patrimoni (si vedano articoli nelle altre due pagine) che non ad avviare un percorso per determinare pensioni più adeguate.
Perché pensioni così basse. Pur in presenza di un notevole incremento rispetto al 2001, quando l’importo medio dell’assegno era di quasi 560 euro, l’attuale livello non è sufficiente a garantire prestazioni adeguate agli iscritti i quali, però, devono fare i conti non solo con un sistema (di tipo contributivo) molto meno generoso di quello (il retributivo) adottato fino a qualche tempo fa dagli enti di vecchia generazione (medici, avvocati, ingegneri ecc.). C’è da considerare, intanto, le anzianità contributive non ancora sufficientemente prolungate.
Gli enti in questione nascono nel 1996 e quindi si sta parlando nel migliore dei casi di 20 anni di contributi accumulati. Ma vi è di più.
Un altro dei motivi che giustificano prestazioni così basse va ricercato anche nelle aliquote contributive che in passato e per diversi anni si sono attestate intorno al 10% e che soltanto negli ultimi anni hanno imboccato un processo di innalzamento.
Da considerare anche l’impatto della crisi economica che ha prodotto importanti tagli ai redditi percepiti iscritti.
Non è un caso se nonostante il progressivo aumento delle aliquote il contributo medio per iscritto si sia mantenuto dal 2001 ad oggi intorno ai 2000 di importo.
L’incremento rilevato dal Centro studi di Itinerari previdenziali nel periodo 2001-2015 pari a +7,6% può dare una misura di quanto abbiano sofferto sul mercato le libere professioni che fanno riferimento alle Casse del 103.
Tuttavia, al di là del graduale aumento delle aliquote contributive, cosa hanno fatto le Casse di questo comparto per aumentare le prestazioni?
In questo senso va detto che, dal 2012 in poi, sono state approvate modifiche significative ai regolamenti previdenziali come la destinazione dell’extra rendimento ai montanti contributivi, la rivalutazione dei contributi degli iscritti al montante di ciascuno iscritto non in base alla media quinquennale del pil ma in base alla crescita della ricchezza della categoria. Ancora: l’aumento del contributo integrativo (dal 2 al 4/5%), in base alla legge Lo Presti, per destinarne una quota al montanti contributivi individuali e nel tempo contribuire a migliorare le prospettive della prestazione pensionistica degli iscritti.
La solidità del sistema. Come prescrive l’articolo 24 comma 24 e il decreto-legge numero 201 del 2011, convertito nella legge numero 214 del 2011, al fine di assicurare l’equilibrio di lungo periodo gli enti di previdenza devono garantire una sostenibilità dei conti a 50 anni.
Oggi, soprattutto grazie al sistema contributivo adottato sin dalla loro nascita, questi enti non fanno particolare fatica a rispettare il dettato normativo.
Nell’analizzare la recente storia di queste Casse, colpisce, soprattutto, la crescita esponenziale degli iscritti (oggi arrivati a oltre 160 mila).
Ne consegue un rapporto tra iscritti e pensionati che si mantiene tutt’oggi su valori impensabili per gli altri enti di previdenza: 14,08 pensioni contributive attive per ogni prestazioni erogata dal sistema delle Casse del 103. Nel sistema pubblico questo rapporto e di due a uno.
Nel suo complesso, la tabella di pagina riporta l’aggregazione dei patrimoni evidenziando l’asset allocation e l’evoluzione della stessa nel tempo, oltre all’incidenza della quota investita nel nostro paese. Risulta evidente la crescita del patrimonio complessivo passato da 183 milioni del 1999 ai 3,7 miliardi attuali. L’incremento è stato continuo nel tempo, raddoppiando sin dal 1999 al 2001, dal 2001 2004 e dal 2004 2009, e poi aumentando del 67% fino al 2014 e dell’8% nel 2015 nonostante le difficoltà dei mercati finanziari e i bassi tassi di interesse.
Il risultato discende soprattutto dalla grande crescita degli iscritti e dall’aumento negli anni delle aliquote contributive, ma anche dei buoni risultati prodotti dalla gestione finanziaria nell’arco dei 20 anni.
Hanno avuto il loro peso, anche se esposti a sensibili fluttuazioni, gli investimenti destinati al Paese.
Questi ultimi dopo aver toccato i livelli minimi all’inizio degli anni 2000 hanno recuperato rapidamente terreno, al punto che oggi il 40% del patrimonio delle casse 103 è composto da investimenti domestici.
I titoli di Stato, in questo senso, hanno sempre costituito una buona parte gli investimenti: dall’iniziale 22% nel 2009 al 19% attuale; calo registratosi a seguito del crollo dei rendimenti.
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