Deve provare la non imputabilità a sé del fatto dannoso
di Maria Domanico

Incombe sugli amministratori di una società di capitali l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. È quanto emerge da una serie di recenti note giurisprudenziali che ben delineano il quadro in tema di doveri e responsabilità degli amministratori di una società di capitali.

DOVERI DEGLI AMMINISTRATORI DI UNA SPA.

I giudici della Corte di cassazione civile, sez. I, con la sentenza dello scorso 31 agosto, n. 17441, hanno osservato come i doveri degli amministratori di una spa, dalla cui violazione può generarsi responsabilità, si individuano per il tramite dell’art. 2392 c.c., che può trovare applicazione anche nel testo derivante dal dlgs 17 gennaio 2003, n. 6, applicabile con decorrenza dal 1° gennaio 2004. Gli amministratori, in generale, possono essere chiamati a rispondere per i danni cagionati alla società amministrata se siano venuti meno ai propri doveri, così da cagionare, per nesso di causalità, un pregiudizio alla società. Tale responsabilità, hanno ribadito i giudici della Cassazione, ha natura contrattuale con tutto quanto ne deriva sul piano del riparto degli oneri probatori: in particolare, la società (o il curatore nell’ipotesi dell’azione intentata ai sensi dell’articolo 146 della legge fallimentare) è onerato della deduzione delle violazioni, nonché della deduzione e prova del danno e del nesso di causalità tra violazione e danno.

CURATORE FALLIMENTARE E AZIONE DI RESPONSABILITÀ

In tema, poi, di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, è ancora la Cassazione (Cassazione civile, sez. I, 26/08/2016, n. 17359) a evidenziare come la riforma societaria di cui al dlg n. 6 del 2003, che pur non prevede più il richiamo, negli artt. 2476 e 2487 c.c., agli art. 2392, 2393 e 2394 c.c., e cioè alle norme in materia di società per azioni, non spiega alcuna rilevanza abrogativa sulla legittimazione del curatore della società a responsabilità limitata che sia fallita, all’esercizio della azione di responsabilità ai sensi dell’art. 146 legge fallimentare, in quanto per tale disposizione, riformulata dall’art. 130 dl n. 5 del 2006, tale organo è abilitato all’esercizio di qualsiasi azione di responsabilità contro amministratori, organi di controllo, direttori generali e liquidatori di società, così confermandosi l’interpretazione per cui, anche nel testo originario, si riconosceva la legittimazione del curatore all’esercizio delle azioni comunque esercitabili dai soci o dai creditori nei confronti degli amministratori, indipendentemente dallo specifico riferimento agli artt. 2393 e 2394 c.c.. Sicché, anche se si ritenesse che i creditori di srl non abbiano più l’azione ex art. 2393 c.c. nei confronti degli amministratori, rimarrebbe comunque esercitabile dal curatore fallimentare l’azione di responsabilità ex art. 2043 c.c. E il tribunale Roma, sez. V, 07/06/2016, n. 11487 con sentenza ha affermato come sia costante nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione secondo cui, per effetto del fallimento di una società di capitali, le (diverse) fattispecie di responsabilità degli amministratori di cui agli artt. 2392 e 2394 c.c. (ante riforma) confluiscono in un’unica azione, dal carattere unitario e inscindibile (cfr., sul punto, Cassazione civile, sez. I, 29 ottobre 2008, n. 25977), all’esercizio della quale è legittimato, in via esclusiva, il curatore del fallimento, ai sensi dell’art. 146 l. fall., che può, conseguentemente, formulare istanze risarcitorie verso gli amministratori, i liquidatori e i sindaci tanto con riferimento ai presupposti della responsabilità (contrattuale) di questi verso la società (artt. 2392, 2407 c.c.), quanto a quelli della responsabilità (extracontrattuale) verso i creditori sociali. E sono gli stessi giudici romani a sostenere che la norma di cui all’art. 2392 c.c. vada a strutturare, quindi, una responsabilità degli amministratori in termini colposi, come emerge chiaramente sia dal richiamo, contenuto nel primo comma della disposizione menzionata, alla diligenza quale criterio di valutazione e di ascrivibilità della responsabilità (richiamo che sarebbe in contrasto con una valutazione in termini oggettivi della responsabilità) sia dalla circostanza che il secondo comma consente all’amministratore di andare esente da responsabilità, fornendo la prova positiva di essere immune da colpa.

SRL E AZIONE DI RESPONSABILITÀ SOCIALE: RILEVA IL MODO IN CUI LE SCELTE DI GESTIONE VENGONO COMPIUTE

Secondo la stessa Cassazione (Cassazione civile, sez. I, 31/05/2016, n. 11264) può allora pronunciarsi il seguente principio di diritto: in tema di azione di responsabilità sociale promossa nei confronti degli amministratori e dei sindaci di srl, ai sensi dell’art. 2476 c.c., comma 3, dai soci in sostituzione processuale della società, nel caso di suo successivo fallimento, ai sensi dell’art. 146, comma 2, lett. a), l. fall., è il curatore fallimentare l’unico soggetto legittimato a proseguire l’azione. Sicché, quando nel corso dell’appello riassunto nei confronti del fallimento della società, il curatore non abbia inteso proseguire l’azione, la causa deve essere dichiarata senz’altro improcedibile, per sopravvenuto difetto di legittimazione attiva dei soci.

Infine, sono sempre i giudici romani (Tribunale Roma, 01/06/2016, n. 11190) a ricordare che la responsabilità dell’organo amministrativo può essere desunta non da una scelta di gestione, come tali queste scelte non sono sindacabili in termini di fonte di responsabilità, in quanto conseguenti a scelte di natura imprenditoriale, ontologicamente connotate da rischio, ma dal modo in cui la stessa è stata compiuta: in altre parole in questi casi si esclude evidentemente l’ipotesi del dolo, è solo l’omissione, da parte dell’amministratore, di quelle cautele, di quelle verifiche ovvero dell’assunzione delle necessarie informazioni preliminari al compimento dell’atto gestorio, normalmente richieste per una scelta del tipo di quella adottata, che può configurare violazione dell’obbligazione di fonte legale, così come è fonte di responsabilità la colpevole mancata adozione di quei provvedimenti, che per legge o statuto avrebbero dovuto essere prontamente assunti a tutela della società o dei terzi.

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