di Marcello Bussi
Sarà il parlamento britannico a dare il nulla osta al governo guidato da Theresa May per far scattare l’articolo 50 che, di fatto, segnerà l’avvio dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Lo ha deliberato ieri la Corte suprema britannica con otto giudici a favore contro tre. A questo punto la domanda è: i parlamentari, che in origine erano in maggioranza a favore della permanenza nell’Ue, ne approfitteranno per ribaltare il risultato del referendum del 23 giugno, andando così contro la volontà popolare?
Qualcuno ci proverà, ma è quasi impossibile che ci riesca, soprattutto adesso che alla Casa Bianca è saldamente insediato Donald Trump, grande sostenitore della Brexit. Ci fosse stata Hillary Clinton, il colpo di mano avrebbe invece avuto buone possibilità di riuscita. Ma il leader laburista, Jeremy Corbin, non è Tony Blair, e ha subito assicurato che «il partito Laburista rispetta il risultato del referendum e la volontà del popolo britannico e non vanificherà il processo per invocare l’articolo 50». Corbin ha però avvertito che il suo partito «cercherà di modificare il disegno di legge sull’articolo 50 per evitare che i conservatori utilizzino la Brexit per trasformare la Gran Bretagna in un paradiso fiscale al largo delle coste europee».
I giudici hanno poi tolto un’arma ai sostenitori della permanenza nell’Ue, deliberando che il governo britannico non ha l’obbligo legale di consultare i parlamenti di Scozia, Irlanda del Nord e Galles prima di avviare i negoziati sulla Brexit. Il primo ministro scozzese, Nicola Sturgeon, che è a favore dell’Ue, non l’ha presa bene e ha fatto capire di essere pronta a indire un secondo referendum sull’indipendenza della Scozia, dove il 23 giugno i Remain hanno vinto con largo vantaggio. Ma il problema si porrà più avanti. Al momento bisogna capire se il passaggio in parlamento porterà a una Brexit meno hard di quella prospettata dalla May, tenendo presente che l’articolo 50 si farà scattare entro la fine di marzo, come ha sempre detto la premier.
Fonti di Bruxelles hanno reso noto che Ue e Gran Bretagna dovranno prima accordarsi sui termini del loro divorzio prima di avviare qualsiasi discussione su un futuro accordo commerciale. I termini della Brexit dovranno anche includere il conto che Londra dovrà pagare per poter uscire in maniera ordinata, valutata fra «55 e 60 miliardi di euro»: «Se si vuole divorziare e rimanere amici sulla base di una nuova relazione, bisogna accordarsi innanzitutto sui termini di una separazione ordinata in cui le due parti devono onorare i propri obblighi» ha spiegato la portavoce della Commissione, Margaritis Schinas. La sterlina ha reagito perdendo lo 0,3% nei confronti del dollaro a 1,2504, mentre la borsa di Londra è rimasta invariata.
Secondo Geoffrey Yu di Ubs Wealth Management, il fatto che il parlamento inglese dovrà votare l’avvio del processo di uscita del Regno Unito dall’Ue rappresenta «un ritardo marginale, al massimo» e «chi investe sulla sterlina dovrebbe ringraziare la Corte suprema» perché «quest’ultima complicazione che si è aggiunta nei tempi della Brexit dovrebbe permettere alla sterlina di guadagnare ulteriore terreno contro il dollaro». Da parte sua Paul Hollingsworth, economista di Capital Economics, ritiene improbabile che l’articolo 50 «riesca a navigare senza intoppi attraverso il Parlamento» britannico, sottolineando che il voto sull’avvio dei negoziati sarà anche più importante di quello sull’accordo finale: «Emendamenti al disegno di legge sono probabili e potrebbero rivelarsi impegnativi sul fronte politico. La May dovrà affrontare negoziazioni politiche interne ancora prima di mettersi al tavolo delle trattative con i partner dell’Ue», ha spiegato Hollingsworth.
La decisione della Corte, ha osservato Martin Arnold, macro strategist di Etf Securities. «era largamente attesa e la sterlina aveva registrato un rimbalzo nei giorni scorsi dai bassi livelli successivi al referendum sull’Ue. È in ogni caso un altro duro colpo alla premier, che ha adottato la linea dura nel cercare di attuare ciò che chiama la volontà del popolo». Per Arnold «la libera circolazione delle persone e i contributi al budget dell’Ue sono stati due aspetti determinanti per l’esito del referendum. Sebbene questi rimangano due dei principali obiettivi dei conservatori, resta da vedere con chi negozierà il governo britannico, considerato che nei prossimi due anni si terranno molte elezioni nel continente. I socialisti hanno perso la presidenza del Parlamento Ue e ciò potrebbe potenzialmente dividere il parlamento e complicare qualsiasi negoziato sulla Brexit». (riproduzione riservata)
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