di Paola Valentini
Con il 2016 si sono chiusi quattro anni di crescita record per il risparmio gestito italiano. E i fondi comuni aperti sono stati i protagonisti. Negli 11 mesi del 2016, in base agli ultimi dati di Assogestioni, questi strumenti hanno raccolto 33 miliardi, cui si aggiungono 95 miliardi di tutto il 2015, 91 miliardi del 2014 e 46 miliardi del 2013. E sul fronte dei rendimenti nel 2016, anno che si è rivelato pieno di insidie per i mercati scossi da eventi politici inattesi e da squilibri nella crescita globale, un fondo di diritto italiano su cinque ha battuto il proprio benchmark di riferimento.
È quanto emerge dall’analisi di MF-Milano Finanza sui fondi italiani che pubblicano l’andamento del loro indice. Un risultato, quello del 2016, nella media. Storicamente la quota dei vincitori sul benchmark oscilla attorno al 10-20%. Hanno fatto eccezione il 2009, il 2012 e il 2013, quando la percentuale di gestori sopra l’indice è stata attorno al 40% per via del fatto che in quegli anni azioni e bond erano cresciuti in modo indiscriminato avvantaggiando i fondi italiani, tradizionalmente agganciati all’indice. Nel 2016, invece, i money manager hanno dovuto affrontare mercati con andamenti molto diversi tra le varie asset class.
E se quello appena concluso è stato l’anno in cui i gestori attivi più brillanti hanno potuto dimostrare le proprie abilità, lo scenario con cui si apre il 2017 accentuerà ancora di più questa tendenza. «Man mano che i programmi di Qe delle banche centrali giungeranno al termine, potremmo assistere all’ascesa di una nuova era di gestori attivi», afferma Marco Palacino, managing director per l’Italia di Bny Mellon Investment Management. Anche nel 2017 si profila per le azioni una situazione simile a quella dell’anno appena concluso con temporanei movimenti rialzisti da cavalcare al momento giusto. «Prevediamo un mercato volatile, caratterizzato da movimenti laterali», afferma Stefan Kreuzkamp, chief investment officer di Deutsche Asset Management. Sul fronte obbligazionario, invece, «la sfida maggiore che gli investitori dovranno affrontare nel 2017 consiste nell’individuare rendimenti a fronte di un rischio ragionevole», avverte Nannette Hechler-Fayd’herbe, Global Head of Investment Strategy del Credit Suisse. Ecco perché nei prossimi mesi la gestione attiva promette di dare maggiori soddisfazioni rispetto agli investimenti agganciati all’indice, a patto, ovviamente, di affidarsi ai gestori vincenti.
Il 2017 per l’industria del risparmio gestito, non solo italiana, sarà l’occasione per battere la concorrenza agguerrita degli Etf, i fondi indicizzati a basso costo che replicano l’andamento dei mercati e che vedono una raccolta in forte crescita. L’anno che si è appena aperto sarà anche un importante banco di prova per l’industria per continuare a conquistare la fiducia delle famiglie italiane che guardano sempre più alla via del risparmio gestito per trovare fonti di rendimento alternative ai titoli di Stato che ormai offrono tassi ai minimi. Il bacino di risparmio è ampio, dato che la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane ammonta a oltre 4 mila miliardi. Senza dimenticare che, in una fase in cui gli istituti di credito sono nel mirino per via della normativa del bail-in, i fondi comuni hanno invece una serie di tutele che li mette al riparo dalle vicissitudini delle banche. I risultati del 2016 offrono quindi ai sottoscrittori dei fondi un’informazione preziosa per selezionare i gestori che si sono distinti in un anno complesso. Non a caso, come emerge da una recente ricerca condotta da Mfs Investment sui trend degli investitori in tema di risparmio, sono proprio i rendimenti dell’ultimo anno e non tanto la storia di risultati sul lungo periodo, a guidare le scelte degli investitori nel risparmio gestito. Dallo studio, realizzato su 845 consulenti finanziari nel mondo, tra cui 100 in Italia, risulta che il 45% degli intervistati si concentra su un periodo temporale che va da uno a tre anni per valutare le performance dei propri investimenti. La ricerca afferma anche che la gestione attiva continua a dominare i portafogli a livello globale. Gli investitori professionali in Italia hanno allocato in questa strategia oltre il 70% dei patrimoni e oltre sei intervistati su dieci confermano la fiducia. «Negli ultimi anni abbiamo assistito a un’accelerazione dei flussi verso le strategie passive, ma gli investitori continuano a mostrarsi favorevoli verso le gestioni attive. E i risultati evidenziano chiaramente il ruolo che quest’ultime svolgeranno in futuro, soprattutto perché molti ritengono che i mercati potranno essere soggetti a ulteriori turbolenze nei prossimi anni», commenta Andrea Baron, managing director di Mfs. Il risultato è che gli investitori, oggi, devono assumere maggior rischio in portafoglio per mirare a raggiungere gli stessi rendimenti di un decennio fa. «Negli ultimi 30 anni i rendimenti finanziari sono stati al di sopra delle medie storiche di lungo periodo: le azioni negli Usa e in Europa hanno offerto ritorni prossimi all’8%, le obbligazioni statunitensi il 5% e i bond europei il 6% circa», conferma Palacino.
Ma a partire dal 2008 «siamo entrati in un nuovo paradigma di bassi rendimenti ed elevata volatilità. Ci aspettiamo che i prossimi 20 anni siano difficili per gli investitori, con i rendimenti dell’azionario statunitense ed europeo pari al 6% nel miglior scenario di ripresa economica, e fermi al 4% in condizioni di bassa crescita. Le obbligazioni potrebbero invece offrire ritorni compresi tra il 2% nello scenario più roseo e nulli o negativi in caso di stagnazione», dice Palacino.
Non solo. Negli ultimi anni, i prezzi delle asset class si sono mossi sempre più all’unisono anche per l’effetto delle politiche monetarie espansive delle banche centrali. Stando ai dati del Fmi, proprio le aree in cui gli investitori hanno spinto al rialzo le curve dei rendimenti, e in particolare le obbligazioni emergenti e gli high yield Usa, sono più vulnerabili all’effetto contagio. «Gestire le fasi di ribasso tra asset class sempre più correlate e riuscire a diversificare i rischi saranno due delle sfide principali per gli investitori negli anni a venire», dichiara Palacino. «In questo scenario, essere contrarian non significa assumere la visione opposta a quella dei mercati in maniera fine a se stessa, ma adottare un approccio di selezione attiva disciplinato, in grado di catturare le migliori opportunità generate dalla volatilità globale e dai trend di breve periodo». Tendenze che danno risalto alla capacità dei singoli di generare extra-rendimenti.
Ecco dunque nel dettaglio il confronto effettuato da MF-Milano Finanza tra i fondi comuni di diritto italiano e i rispettivi benchmark di mercato. Tra i comparti che hanno dichiarato a fine 2016 la performance a 12 mesi dell’indice di riferimento, il 21%, come si diceva, è riuscito a fare meglio del parametro. Ma si tratta di una media, dietro la quale si celano differenze tra le varie categorie. Tra i fondi azionari Italia il 24% dei gestori ha fatto meglio dell’indice. Si sono distinti in particolare i comparti specializzati nelle piccole e medie imprese italiane. Come l’Arca Economia Reale Equity Italia (classe I) di Arca Sgr che segna a 12 mesi una performance del +2% circa (la classe P fa il +0,8%) a fronte del -1,5% del suo indice e soprattutto, come si diceva, del -10% del Ftse Mib. Il fondo, nato nell’aprile del 2015, si concentra sulle azioni delle pmi quotate sui mercati di Piazza Affari Star e Aim ed è già in regola con la nuova normativa sui Pir (Piani di risparmio), in vigore da quest’anno (vedere intervista in pagina). I Pir azzerano le imposte sui capital gain fino a un investimento massimo di 150 mila euro a patto di investire prevalentemente in società italiane di media e piccola taglia e di detenere il piano per minimo cinque anni.
Tra gli altri azionari, la quota maggiore di gestori che ha battuto il benchmark si trova tra gli internazionali: qui la percentuale è del 37,5%. E si è distinto il fondo Anima Geo Globale Y di Anima Sgr (vedere altra intervista in pagina) che con un rendimento del 26% circa ha superato di 12 punti percentuali il proprio indice (+14%). Nelle borse dell’area euro la percentuale dei comparti con risultati superiori al benchmark è del 20% e su tutti spicca il +6,5% messo a segno dal fondo BancoPosta Azioni Euro di BancoPosta Sgr, rispetto al +4,8% del suo indice. Nell’azionario Europa i migliori sono Pioneer Azionario Valore Europa con un rendimento del +5,3% (3,9% il benchmark) e Allianz Azioni Europa con il +4,1% (+3,8% il benchmark).
Mentre in mercati più lontani, come l’azionario Paesi emergenti, che comprende i fondi specializzati su aree considerate promettenti nei prossimi mesi (come Cina e India), il 9% ha superato l’indice. Qui ha la meglio un altro fondo di casa Anima , l’Anima Emergenti (classe F), che ha reso oltre il 15% (+14,5% il benchmark).
Tra gli obbligazionari i risultati migliori sono stato ottenuti dai gestori diversificati. Infatti la percentuale più elevata dei fondi che hanno superato l’asticella del proprio indice si trova nella categoria degli obbligazionari altre specializzazioni: quasi un gestore su due, ovvero il 46%, ha superato il benchmark. Su tutti spicca il Gestielle Obbligazioni Corporate (con un rendimento a 12 mesi di quasi il 6% rispetto al 5% dell’indice). Bene anche il fondo etico di casa Eurizon, l’Obbligazionario Etico, con un +3,3% (+2,5% il benchmark). Tra gli obbligazionari Paesi emergenti si mette in luce il Pioneer Obbligazionario Paesi Emergenti (classe A) con quasi il +13% (circa +11% il benchmark). Ed è sempre di Pioneer l’unico comparto che, tra gli obbligazionari internazionali high yield, ha pubblicato il risultato del benchmark e lo ha battuto (di un soffio) con un 16% a fronte del +15,9% dell’indice. Dal 2000 i gestori dei fondi di diritto italiano devono calcolare e rendere pubblica ogni settimana la performance a 12 mesi del benchmark scelto per ogni fondo (i dati in pagina sono al 20 dicembre). Alcune sgr, infine, sono specializzate nei fondi flessibili (come Azimut ) e non hanno, quindi, benchmark. (riproduzione riservata)
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