di Paola Valentini
Le adesioni ai fondi pensione continuano ad aumentare. Nei nove mesi del 2016, stando ai dati Covip, gli iscritti sono saliti del 5,3% a quota 7,6 milioni. Una buona notizia per i gestori previdenziali che continuano a vedere crescere le proprie masse, salite a 146,4 miliadi di euro (in base agli ultimi dati aggiornati a fine settembre 2016), con un aumento del 4,5% da fine 2015, anche se restano comunque bassi rispetto al Pil (10%). La strada è infatti ancora lunga per arrivare a una completa copertura dei lavoratori italiani, che sono circa 22 milioni. E soprattutto c’è ancora molto lavoro da fare per diffondere una maggiore cultura finanziaria nel Paese, come emerge dal primo censimento condotto da Banca d’Italia, Consob, Covip, Ivass, Feduf e Museo del Risparmio sulle iniziative di educazione finanziaria svolte nel triennio 2012-14. L’indagine, presentata nei giorni scorsi, sottolinea che nel confronto internazionale gli italiani sono tra gli adulti meno preparati in materia di risparmio. Nel rapporto si legge che in base alla Standard & Poor’s Ratings Services Global Financial Literacy Survey diffusa nel 2015, solo il 37% conosce almeno tre concetti di base tra inflazione, tasso di interesse, capitalizzazione composta e diversificazione del rischio; la percentuale è inferiore alla media dell’Ue, pari al 52%, e al dato rilevato in tutte le altre economie avanzate e in alcuni Paesi dell’Est Europa. Fanno peggio dell’Italia soltanto Cipro (35%) e Portogallo (26%). Anche per i giovani italiani le conoscenze economico-finanziarie sono inferiori a quelle dei coetanei stranieri. Lo studio delle autorità di vigilanza riporta infatti altri dati preoccupanti per le nuove generazioni: nell’indagine Ocse Pisa 2012 (che ha introdotto per la prima volta una valutazione del livello di alfabetizzazione finanziaria dei quindicenni), l’Italia occupa il penultimo posto al mondo prima della Colombia, ultima. La scarsa preparazione in materia di risparmio è un problema perché i mercati finanziari sono diventati più complessi e ciò rende più difficili le scelte di investimento che le famiglie devono affrontare. Il tema dell’educazione finanziaria è legato a filo doppio anche allo sviluppo dei mercati dei capitali. In Paesi come il Regno Unito e gli Usa, dove i sistemi finanziari hanno raggiunto dimensioni maggiori rispetto all’Italia, il grado di conoscenza delle famiglie è ai massimi livelli: in base alla Global Financial Literacy Survey, negli Usa il 67% è in grado di dare una definizione di inflazione, tasso di interesse, capitalizzazione composta e diversificazione del rischio, una percentuale simile a quella rilevata in Gran Bretagna (57%).
E la situazione appare allarmante in tema previdenziale perché la stampella pubblica, che per anni ha garantito pensioni legate al generoso sistema retributivo, oggi è venuta meno. Non sorprende dunque che il citato censimento delle quattro Autorithy rileva che «pur percependo la necessità di dover integrare la pensione pubblica, gli italiani ricorrono poco alla previdenza complementare poiché ne ignorano anche gli aspetti di funzionamento basilari, per esempio i benefici fiscali riconosciuti». Tra questi c’è l’esenzione dall’imposta di successione. (nel caso di decesso dell’iscritto prima della pensione i capitali accumulati vanno agli eredi o ad altre persone designate da quest’ultimo senza applicazione delle imposte di successione).
Il tema dell’analfabetismo finanziario è caro anche al presidente della Covip, Mario Padula, il quale di recente ha lanciato l’allarme perché «può alimentare il rischio di povertà dopo l’uscita dal mercato del lavoro». In Italia, ha sottolineato ancora il numero uno della Covip, «la previdenza complementare può rappresentare uno strumento molto utile per assorbire la riduzione delle prestazioni del sistema di base, che la transizione demografica ha reso necessaria». A riprova ci sono i rendimenti. In generale i fondi pensione hanno dato buona prova di sè su questo fronte negli ultimi anni. E anche il 2016, un anno certamente non banale dal punto di vista finanziario, non ha fatto eccezione.
In base alla rilevazione effettuata da MF-Milano Finanza, che ha raccolto un’anticipazione dei risultati della gestione dei fondi pensione negoziali operativi in Italia (un campione che copre oltre l’80% del mercato), nel 2016 il rendimento medio si è attestato al 2,6% netto a fronte della rivalutazione dell’1,49% netto del Tfr in azienda. A confronto i fondi comuni italiani hanno segnato nel 2016 un rendimento dell’1,75% (Indice generale Fideuram). Peraltro, gli stessi gestori dei fondi comuni gestiscono anche i mandati dei fondi negoziali.
Il comparto Dinamico di Cooperlavoro (il fondo pensione dei lavoratori delle cooperative), il migliore con una performance del 6,13% (confermando il rendimento medio annuo composto del quinquennio 2011-2015 pari al 6,47%), è gestito da Pioneer Sgr. Seguono in classifica le linee Crescita ed Equilibrio (gestite da Pioneer ed Edmond De Rothschild Asset Management), entrambe di Fondaereo (il fondo dei pioti e assistenti di volo), che hanno fatto, rispettivamente, il 6,12% e il 5,54%. Come emerge dalla tabella in pagina, una decina di linee hanno registrato nel 2016 rendimenti oltre il 5%. Quanto ai fondi pensione aperti, il rendimento medio 2016 degli oltre 250 comparti sul mercato è stato dell’1,76%, con picchi di oltre il 6% (vedere tabella in pagina), come il caso di Azimut Previdenza Comparto Crescita che nei 12 mesi ha reso il 7,68%. Per i Pip, i piani individuali pensionistici, non è ancora possibile effettuare il bilancio del periodo perché i rendimenti delle gestioni separate non sono disponibili in corso d’anno mentre quelli delle unit linked di ramo III si sono attestati al -0,1% nei nove mesi del 2016.
Più in generale, i fondi negoziali e quelli aperti in media hanno superato il risultato del Tfr, la classica asticella cui si confrontano i gestori previdenziali. La liquidazione che resta al datore di lavoro si rivaluta in misura pari all’1,5% fisso più il 75% dell’indice di inflazione Istat e per via del basso caro vita negli ultimi tempi è stato facile per i fondi battere il benchmark. Ma se i prezzi torneranno a correre, e a fine 2016 ci sono stati segnali di risveglio dell’inflazione (anche se l’anno si è chiuso con una variazione negativa, -0,1%, come non accadeva dal 1959), le sfide per i fondi saranno sicuramente maggiori. Senza dimenticare che i tassi di interesse ai minimi stanno dando non pochi grattacapi ai money manager, che devono produrre risultati in grado di compensare le commissioni richieste. Anche perché, come risulta dalle elaborazioni Mefop su dati Covip a fine 2015, i fondi pensione italiani hanno portafogli concentrati in obbligazioni (62%), mentre solo il 17% va alle azioni. Inoltre, la quota di azioni italiane in portafoglio è molto modesta (attorno all’1% per i negoziali e al 3,4% per gli aperti, si veda tabella a pagina 11). «Le risorse dei fondi pensione italiani sono prevalentemente investite in titoli di debito, in particolare governativi. Gli investimenti obbligazionari, sin dalla fase di start-up della gestione finanziaria, hanno costituito la componente principale del portafoglio», afferma Stefania Luzi, responsabile dell’area Economia e Finanza di Mefop. Molti fondi stanno così correndo ai ripari includendo nuovi asset nei portafogli (cosa che oggi è resa possibile grazie al nuovo decreto 166/2014 sugli investimenti in vigore dal 2016), e rinnovando le linee per ottenere una maggiore diversificazione. «Le condizioni di incertezza e di elevata volatilità dei mercati finanziari, che scontano ancora gli effetti delle politiche monetarie non convenzionali avviate dalle banche centrali di molti Paesi a livello globale, stanno spingendo gli investitori previdenziali a valutare una revisione dell’asset allocation strategica e a orientarsi verso strumenti con un profilo di rischio e rendimento più elevato», conferma Luzi, «diversi fondi pensione hanno deciso di diversificare gli investimenti obbligazionari prevedendo una componente high yield nonché inserendo in portafoglio i mercati emergenti, preclusi in passato dal decreto 703/96 e oggi possibile grazie al nuovo regolamento che disciplina i limiti agli investimenti, il 166/2014».
Alcuni comparti hanno anche iniziato a guardare a strumenti alternativi, come private equity, venture capital o fondi di private debt, investimenti che la normativa del decreto 703/1996 non vietava ma che non venivano considerati dai fondi perché i titoli di Stato hanno fornito per anni adeguati rendimenti. «Alcuni fondi hanno integrato nell’asset allocation investimenti alternativi che, oltre a presentare un profilo di rischio-rendimento più appetibile, possono offrire un contributo fattivo al rilancio dello sviluppo e della crescita del Paese, un’esigenza questa particolarmente sentita dagli investitori previdenziali». A partire da azioni e bond emessi dalle pmi, che in questa fase hanno bisogno di risorse dato che per anni si sono finanziate presso le banche che oggi, per via dei rigidi requisiti patrimoniali imposti dalle autorità europee, hanno stretto i cordoni della borsa. «Il numero di fondi è tuttavia ancora limitato per via della complessità gestionale degli strumenti non tradizionali, che presuppongono un sistema di governo articolato e strutturato e competenze più sofisticate rispetto alle asset class presenti attualmente nel portafoglio dei fondi pensione», aggiunge Luzi. Eurofer (il fondo dei dipendenti del comparto delle ferrovie), ad esempio ha investito in un fondo immobiliare paneuropeo e in un fondo infrastrutturale. Tra i pionieri c’è anche Solidarietà Veneto (il comparto destinato ai dipendenti delle aziende attive nella Regione Veneto), che nei mesi scorsi è stato il primo fondo pensione contrattuale a investire in fondi chiusi dedicati all’investimento nel capitale delle pmi del territorio di riferimento. Inoltre il fondo ha arricchito l’offerta dando la possibilità di iscrivere i familiari a carico e, di recente, lanciando le prestazioni accessorie (tutela della famiglia in caso di morte o invalidità dell’iscritto). Un ampliamento che è stato apprezzato: nel 2016 il fondo pensione territoriale del Veneto ha raggiunto un miliardo di euro di patrimonio gestito e ha superato i 50 mila iscritti attivi, con una crescita del 3% sul 2015. «Per il quinto anno consecutivo il segno più contraddistingue la performance di tutti e quattro di comparti, anche nel 2016», spiega Paolo Stefan, direttore del fondo veneto, «frutto della strategia che ha consentito di contenere il rischio, specie in questi anni». Il contesto finanziario sempre più difficile porta novità anche da Cometa. Da inizio febbraio 2017 il fondo negoziale dei metalmeccanici adotterà una nuova politica di investimento e modificherà la struttura dei suoi comparti, due interventi che seguono il rinnovo dei mandati di gestione da poco concluso. «Le attuali linee di investimento, rinnovate l’ultima volta nel 2010, hanno consentito di ottenere nel corso di questi anni rendimenti soddisfacenti per tutti i comparti del fondo», spiega Cometa, «tuttavia i recenti mutamenti del contesto economico e gli sviluppi dei mercati finanziari che hanno condotto a tassi nulli e conseguentemente a rendimenti attesi contenuti, rendono necessaria una ridefinizione di tutte le linee». In pratica ci sarà un ridimensionamento del comparto monetario: la procedura deliberata prevede un meccanismo di silenzio-assenso per i soli aderenti con meno di 55 anni di età che saranno spostati nel comparto reddito: l’aderente che intende restare nel monetario dovrà comunicarlo al fondo entro 90 giorni a partire dal 1° febbraio 2017 accedendo alla propria area personale sul sito Cometa. (riproduzione riservata)
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