di * delegato italiano alla Proprietà intellettuale CONTATTI: mauro.masi@consap.it
Intorno a Bitcoin, la «valuta» virtuale presente in rete dal 2009, si sta sviluppando la nuova frontiera del dibattito sulla proprietà intellettuale per il mondo delle Ict. Bitcoin è, come noto, uno strumento di scambio usato su internet con alcune caratteristiche che lo avvicinano a una valuta. È stato creato nel 2009 da Satoschi Sakamoto, uno pseudonimo che nasconde forse una pluralità di persone (anche se qualche mese fa l’imprenditore australiano Craig Steven Wright ha annunciato di esserne il creatore portando peraltro prove cui molti non credono); Bitcoin è riconosciuto ed utilizzato da una parte non elevatissima, ma ciononostante significativa, dagli operatori della rete.
Il suo valore commerciale è variabile e fissato in linea di principio: è passato da pochi centesimi di dollaro a oltre mille, attualmente vale un po’ più di 870 dollari. Lo sviluppo di Bitcoin – che nel recente passato ha risentito negativamente del fallimento di alcune piattaforme di scambio come MtGox – è molto dovuto alla bontà della tecnologia che lo sostiene, in particolare al sistema Blockchain. Quest’ultimo è un data base distribuito che sfrutta la tecnologia «peer to peer» ed è disponibile a tutti i navigatori della rete; nella sostanza è un libro contabile che registra tutte le transazioni fatte in Bitcoin dal 2009 in poi. Le transazioni sono rese possibili dall’approvazione del 50% + 1 di coloro i quali attivano Blockchain e che così diventano nodi della catena (chain). Quest’ultima si presenta come una serie di blocchi che memorizzano blocchi di transazioni recenti correlate a un marcatore temporale, ogni blocco include i riferimenti (hash) del blocco precedente in modo da collegarsi appunto come una catena. Il tutto crea un sistema di verifica aperto che non ha bisogno di nessun benestare «esterno» per far funzionare la transazione. Questo sistema si sta mostrando molto efficace tant’è che può essere utilizzato anche in ambiti diversi da Bitcoin. Può ad esempio garantire il corretto scambio di titoli, azioni ma può addirittura sostituire gli atti notarili in quanto la certificazione dell’atto (la transazione) è garantita dalla maggioranza (50% + 1) dei «nodi» che partecipano anonimamente alla catena. Già un gruppo di 25 banche si sono associate per investire sulla start up R3 che può creare un meccanismo Blockchain adatto al sistema bancario. Proprio in quest’ottica si sta verificando una grande corsa alla registrazione brevettuale di start up collegate al sistema Blockchain: l’Ufficio dei brevetti Usa ne ha rese note già 36 ma si sa che altre centinaia stanno per essere depositate. C’è da chiedersi se questa corsa al brevetto sia un fatto positivo o non rischi di bloccare (o quantomeno rallentare) lo sviluppo dell’innovazione in quello che si sta rivelando come uno dei settori più creativi della rete.
© Riproduzione riservata
Fonte: if (document.currentScript) {