Il solo fatto che fra le parti siano intercorse trattative di amichevole composizione non è sufficiente a dimostrare che vi sia stato riconoscimento del diritto altrui, poiché la trattativa non ha quale suo presupposto l’ammissione totale o parziale della pretesa avversaria
Occorre concretamente accertare se, nel singolo caso oggetto di esame, vi sia stata o meno ammissione dell’altrui diritto, nel corso delle trattative, ammissione che può essere totale o anche solo parziale. Anche le trattative di amichevole composizione possono cioè comportare l’interruzione della prescrizione ai sensi dell’art. 2944 c.c., quando dal comportamento di una delle parti risulti il riconoscimento del contrapposto diritto di credito e la transazione sia venuta a mancare solo per questioni attinenti alla liquidazione, e non anche all’esistenza, del diritto controverso; ed – ancor più specificamente – quando le trattative intercorse fra le parti, anziché presupporre la contestazione del diritto della parte debitrice, si svolgano in circostanze e con modalità tali da implicare ammissione del diritto stesso e siano rivolte solo ad ottenere un componimento sulla liquidazione del quantum.
La Corte di appello avrebbe dovuto accertare, pertanto, se effettivamente la trattativa abbia avuto per oggetto esclusivamente la liquidazione dei danni – come affermano i ricorrenti – o se vi sia stata specifica contestazione della responsabilità.
E così, qualora l’illecito del cui risarcimento si tratta sia consistito, come nel caso in esame, nell’investimento di un pedone da parte di un automobilista, l’offerta risarcitoria e la trattativa sul quantum non valgono di per sé sole a far presumere la contestazione della responsabilità ad opera del debitore, essendovi ben poco da contestare, a fronte della presunzione di colpa di cui all’art. 2054 c.c., comma 1.
In questi casi, ove il creditore alleghi che la trattativa si è svolta esclusivamente sul quantum, occorre che il debitore dimostri di avere contestato anche l’an, deducendo in ipotesi il concorso di colpa del danneggiato; contestando le modalità o la stessa sussistenza del fatto; adducendo e dimostrando che l’offerta di una somma minore era stata fatta in considerazione delle incertezze sull’an; e così via.
Quando per contro non vi sia stata alcuna discussione sulle modalità del sinistro e sull’altrui concorso di colpa, e la prospettazione dei fatti sia tale da escludere – anche alla luce delle presunzioni di legge – che possa essere messa in dubbio la responsabilità del danneggiato, la trattativa sul quantum assume tutt’altra valenza e può manifestare il riconoscimento da parte del debitore del buon diritto altrui, quanto alla sussistenza del credito.
Vale a dire, essendo rilevante anche l’ammissione parziale dell’altrui pretesa – come più volte specificato dalla citata giurisprudenza – la mancata contestazione della responsabilità può integrare la fattispecie del riconoscimento dell’altrui diritto, ove la fattispecie concreta da cui il diritto deriva sia tale da giustificare che al comportamento del debitore sia attribuito un tale significato.
Il comportamento del debitore che conduca le trattative senza contestare espressamente la sua responsabilità in relazione ad una fattispecie in cui la legge una tale responsabilità presume, non può essere valutato con gli stessi criteri applicabili ai casi in cui la ripartizione delle colpe sia in linea di principio dubbia e discutibile.
Nel primo caso e non nel secondo il silenzio può ritenersi significativo del riconoscimento del diritto altrui e, soprattutto, può ritenersi tale da ingenerare il conseguente affidamento nel creditore, sì da indurlo a soprassedere, durante le trattative, dall’invio di altro, specifico atto di costituzione in mora, ove il termine di prescrizione sia maturato nel corso delle trattative di amichevole composizione. La motivazione della sentenza impugnata è insufficiente e inidonea a giustificare la decisione, in quanto si è discostata dai principi sopra enunciati e non ha compiuto alcuna indagine sull’effettiva volontà delle parti nel caso in esame.
La rinuncia alla prescrizione e il riconoscimento di debito, quali atti in certa misura dispositivi di un proprio diritto -quello di eccepire una prescrizione, pur se maturata in tutti i suoi aspetti;
quello di eccepire l’inesistenza del debito, sollevando la controparte dall’onere di darne la prova – hanno effetti più ampi e pregnanti che non il mero riconoscimento dell’altrui pretesa come fatto idoneo ad interrompere la prescrizione: fattispecie in cui è quanto meno dubbio se il comportamento ricognitivo debba farsi necessariamente consistere in una dichiarazione di volontà, o se non possa ritenersi sufficiente una dichiarazione di scienza.
Ed invero, i requisiti che integrano la fattispecie di cui all’art. 2944 c.c., vanno individuati con riferimento alle specifiche finalità delle norme in tema di prescrizione, che sono quelle di far sì che il creditore manifesti tempestivamente ed in termini inequivoci l’intento di esercitare il suo diritto, evitando il protrarsi oltre misura di una situazione di incertezza.
Qualora ad un formale ed inequivoco atto di costituzione in mora faccia seguito una trattativa seria, articolata e specifica, diretta a risolvere stragiudizialmente la controversia, non vi è dubbio che il creditore persista nell’esercizio del suo diritto e che il debitore sia altrettanto inequivocabilmente avvertito della serietà dell’avversaria pretesa.
La res litigiosa viene cioè concretamente trattata e gestita dalle parti – pur se al di fuori del processo – in termini tali da rendere inaccettabile l’idea che vi sia un’inerzia del creditore, tale da giustificare la perenzione del suo diritto per non uso, e da rendere parimenti insostenibile che il debitore non ne sia avvertito durante il protrarsi della trattativa, si da poter invocare un legittimo interesse a che l’atto di costituzione in mora gli sia rinnovato, nonostante i contatti in corso per la soluzione amichevole.
Gli estremi a cui è subordinato l’effetto interruttivo di cui all’art. 2944 c.c., vanno quindi individuati in termini elastici, tenendo conto di quanto sopra ed anche dell’affidamento che la trattativa in corso può ingenerare nel creditore circa la non necessità di ulteriori atti di costituzione in mora; tenendo conto altresì dei possibili abusi del debitore, il quale protragga deliberatamente nel tempo la discussione, inducendo un affidamento sulla soluzione amichevole, per poi abbandonarla ingiustificatamente, una volta maturata la prescrizione. L’interpretazione del comportamento del debitore va quindi condotta tenendo anche conto del principio di cui all’art. 1366 c.c., circa l’obbligo dell’interprete di evitare soluzioni che assecondino comportamenti di mala fede.
Nell’affrontare il problema interpretativo circa la sussistenza o meno della volontà abdicativa del creditore insita nel riconoscimento dell’altrui diritto, ai sensi dell’art. 2944 c.c., il giudice deve tenere conto che:
a- il riconoscimento del diritto altrui può essere anche meramente parziale;
b- il silenzio sulla sussistenza o meno della responsabilità può essere significativo dell’avvenuto riconoscimento, ove si riferisca a fattispecie in cui la responsabilità del debitore derivi da una presunzione di legge, in mancanza di prova contraria;
c- l’indagine sui comportamenti delle parti durante le trattative deve essere accurata e completa: anche per quanto concerne le ragioni per le quali le trattative sono state interrotte, sì da evitare di dare corso ad interpretazioni che ratifichino l’eventuale mala fede di una delle parti in danno dell’altra; sì da evitare, soprattutto, che un’interpretazione ingiustificatamente rigorosa e formalistica dei requisiti del riconoscimento di cui all’art. 2944 c.c., si traduca nell’ingiustificato diniego al creditore dell’esercizio dei suoi diritti: soprattutto nei casi in cui il termine di prescrizione sia particolarmente breve – qual è quello della prescrizione biennale – e l’illecito da cui deriva il diritto al risarcimento dei danni sia particolarmente grave, come nel caso di specie, ove si è trattato di omicidio colposo, dichiarato estinto per morte del reo pochi giorni dopo il compimento del fatto.
Cassazione civile sez. III, 24/09/2015 n. 18879