di Marcello Bussi
«We don’t give up», ovvero «non ci arrendiamo». Con questa frase il presidente della Bce, Mario Draghi, ha concluso la conferenza stampa di ieri. Forse si è sentito come Leonardo DiCaprio nel suo ultimo film, The Revenant, il Redivivo. Perché quella di ieri è stata una delle sue conferenze stampa più difficili.
Draghi doveva infatti far dimenticare il flop del mese precedente, quando per la prima volta aveva deluso i mercati che si erano attesi forse troppo da lui. Per fortuna, ieri, dopo una serie mozzafiato di crolli in borsa, il numero uno dell’Eurotower è tornato a incantare i mercati come ai tempi migliori: pur senza agire (i tassi di interesse e sui depositi sono stati lasciati invariati, il Qe non è stato rafforzato), con le sole parole è riuscito a fare prendere il volo ai listini. Piazza Affari è salita addirittura del 4,2%, mentre Francoforte ha guadagnato l’1,9% e Parigi il 2%. Bene lo spread dell’Italia, sceso a 116 punti base con il rendimento del Btp decennale in calo all’1,55%, stabile l’euro a 1,0879 dollari. Draghi ha infatti rassicurato sullo stato di salute delle banche italiane (si veda l’articolo a pagina 3). Ma le borse si erano già impennate non appena aveva iniziato a parlare. Alla luce di un’inflazione «più debole del previsto» e dei rischi di indebolimento della crescita economica di Eurolandia, Draghi ha annunciato che «sarà necessario rivedere ed eventualmente riconsiderare il nostro atteggiamento di politica monetaria nel prossimo meeting di inizio marzo, quando saranno disponibili le nuove proiezioni macroeconomiche che arriveranno fino al 2018».
Il presidente della Bce ha quindi spiegato che «i rischi al ribasso sono ancora aumentati per colpa della maggiore incertezza sulle prospettive di crescita delle economie emergenti, della volatilità nei mercati finanziari e delle materie prime e della situazione geopolitica». Per questo motivo, «i tassi resteranno sui livelli attuali, se non ancora più bassi, per un lungo periodo di tempo» e «siamo determinati ad agire e non abbiamo limiti tecnici». Draghi ha così spalancato la porta a un rafforzamento del Qe il prossimo 10 marzo, o almeno così hanno capito i mercati. Gli strategist di Ig hanno sottolineato che «occorre ricordare quanto accaduto ad ottobre, quando Draghi aveva preannunciato la revisione del Qe nel meeting di dicembre, contribuendo nelle settimane successive a sovraccaricare il mercato di aspettative sulle manovre.
Alla luce della recente esperienza, i mercati non commetteranno gli stessi errori. Noi continuiamo a credere che l’opzione preferibile riguardi l’aumento degli acquisti mensili di bond almeno fino a 80 miliardi di euro dagli attuali 60. Tra le opzioni vi è anche il prolungamento di ulteriori sei mesi del programma, il cui termine è ora a marzo 2017». «Una conferenza stampa sorprendentemente audace», hanno osservato gli economisti di Morgan Stanley, «ci porta a pensare che a marzo la Bce annuncerà un altro taglio sul tasso di deposito di 10 punti base e un aumento degli acquisti mensili del Qe di 20 miliardi». Secondo Andrea De Gaetano, senior portfolio manager di MC Capital, «Draghi gioca nuovamente la carte della suspense, tenendo i mercati nell’incertezza fino alla prossima riunione del 10 marzo. I rischi al ribasso per l’inflazione, aumentati a causa dei prezzi bassi del petrolio e del rallentamento economico in Cina, potrebbero giustificare un’azione ancora più vigorosa della Bce. In realtà non è stato detto nulla di sostanzialmente nuovo, ma è stato abbastanza per dare il via a un rimbalzo tecnico sui mercati azionari dopo le pesanti vendite dei giorni scorsi». Elwin de Groot, economista senior di Rabobank, ha invece sottolineato che «se i mercati emergenti rappresentano il principale rischio per l’Europa al momento», la Bce «ha un controllo molto limitato su quello che può accadere laggiù e sui possibili effetti per l’Eurozona». Mentre Jacopo Ceccatelli, ad di Marzotto sim, si è complimentato con Draghi perché «è stato bravo a prendere tempo. La decisione di rinviare a marzo la revisione degli stimoli monetari è stata evidentemente presa per calmare i mercati e fornire una data non troppo lontana su cui concentrare le aspettative. Sarà poi da vedere a marzo quali decisioni saranno prese, ma intanto si può sperare in un mercato attendista». Per avere le idee più chiare sui prossimi movimenti delle borse bisognerà aspettare il 27 gennaio, quando si riunirà il Comitato di politica monetaria della Federal Reserve. Se verrà trasmessa l’idea che la Fed rinvierà alle calende greche i prossimi rialzi dei tassi, lasciando capire di essere pronta anche a fare marcia indietro, ovvero a tagliarli di nuovi, allora la reazione dovrebbe essere positiva. Per ora dai mercati scrosciano gli applausi per Draghi, anche se il suo «we don’t give up» riferito alla battaglia per riportare l’inflazione poco al di sotto del 2% nel medio termine può essere interpretato come l’ammissione che si tratta di un combattimento disperato. (riproduzione riservata)