di Paola Valentini
I rendimenti netti dei fondi pensione negoziali nel 2015 si sono molto ridimensionati rispetto al 7,3% del 2014, ma date le condizioni di mercato si mantengono a un livello significativo. Con un risultato medio del 2,75%, lo scorso anno hanno comunque sonoramente battuto il Tfr lasciato in azienda, il quale, per via dell’inflazione a zero, nel 2015 si è rivalutato soltanto dell’1,25% netto (il rendimento lordo annuale del Tfr è pari all’1,5% fisso più il 75% dell’indice di inflazione Istat).
I negoziali mantengono le distante dal Tfr anche se il distacco si riduce visto che nel 2014 quest’ultimo si era apprezzato dell’1,3%, cioè meno di un quinto. D’altra parte, nel 2015 i mercati finanziari hanno avuto un andamento altalenante: molto positivo nel primo trimestre, più contrastato nei mesi successivi, con un modesto recupero sul finale d’anno. Di conseguenza «i risultati delle forme pensionistiche complementari ne hanno risentito, specie le linee di investimento a maggior contenuto azionario», spiega la Covip. E il nuovo anno si è aperto con nuove correzioni profonde per le borse. Per esempio Piazza Affari in queste prime sedute dell’anno ha perso la metà di quanto guadagnato nel 2015 (13%). Il tutto mentre i tassi sono ai minimi. Uno scenario che renderà sempre più complicata la vita per i gestori di fondi previdenziali. Il potenziamento a dicembre del Qe da parte della Bce ha indotto un’ulteriore compressione dei tassi sui titoli di Stato, che si traduce in un aumento del valore dei titoli presenti in portafoglio. Ma dall’altra lo spazio di riduzione degli spread è ormai limitato e soprattutto oggi in sempre maggior numero i titoli di Stato europei offrono rendimenti negativi. Lombard Odier Investment Management ricorda che attualmente «in Europa, oltre 2.500 miliardi di euro di debito obbligazionario governativo offrono rendimento sottozero». Ecco perché i fondi pensione sono ben consapevoli che non possono fare più affidamento sui buoni risultati di questi ultimi anni dei bond governativi, che ancora oggi fanno la parte del leone dei portafogli. Non a caso il mondo della previdenza complementare ha cominciato a fare i primi passi negli investimenti sull’economia reale, con il sostegno del ministero dell’Economia che ha concesso incentivi fiscali e soprattutto punta a facilitare il ruolo che i fondi pensione possono assumere nel rilancio dell’Italia. Anche sul fronte azionario l’anno si apre con molte sfide dato l’aumento di volatilità dopo i nuovi crolli nel listino di borsa cinese e i timori sulle sorti dell’economia globale innescati dai continui cali del prezzo del petrolio. Finora in ogni caso i rendimenti dei fondi pensione hanno retto bene l’urto della volatilità. Come emerge dall’analisi di MF-Milano Finanza che ha raccolto, come ogni fine trimestre, i risultati ottenuti dai comparti negoziali. Dai dati dell’intero 2015 emerge come detto che il risultato medio è stato del 2,75% a fronte dell’1,25% del Tfr e che diversi comparti hanno offerto un rendimento a 12 mesi superiore al 5% con picchi del 9%. Oltretutto, questi risultati scontano dal 2015 un’imposta con aliquota che è stata innalzata dalla legge di Stabilità dello scorso anno dall’11,5 al 20%. Mentre il prelievo fiscale sulla rivalutazione del Tfr è del 17%. C’è anche da dire che i rendimenti 2015 sono anche colpiti non solo da questo inasprimento della tassazione ma anche del conguaglio fiscale per il 2014. La legge di Stabilità 2015 ha infatti previsto l’aumento dell’aliquota sui rendimenti dei fondi pensione al 20% con effetto retroattivo, quindi dal periodo d’imposta 2014. Per questo motivo a gennaio 2015 è stato prelevato dal patrimonio dei comparti (secondo quanto previsto dalla Covip) l’ammontare necessario a pagare l’incremento d’imposta del 2014. E la contabilizzazione di tale voce ha ridotto i rendimenti netti del 2015.
Analizzando i singoli comparti emerge che i risultati migliori sono stati messi a segno dalle linee più esposte sulle azioni, dato che nel 2015, pur se con un’elevata turbolenza, l’equity ha dato maggiori soddisfazioni in media rispetto ai bond. È il caso del comparto azionario di Mediafond che ha chiuso l’anno appena trascorso con una performance del 9,9%. Segue la linea Rubino-Dinamica di Previmoda con il 6,8%, e il Profilo Dinamico sempre di Mediafond (6,3%).
Hanno realizzato risultati inferiori, come nelle attese, i comparti garantiti o comunque più esposti ai mercati delle obbligazioni. Proprio su questo fronte, dopo il dissesto dei quattro istituti bancari locali (Banca Etruria, Carife, Carichieti e Banca Marche), l’attenzione dei lavoratori e anche degli stessi fondi pensione si sta concentrando sulla sicurezza delle varie forme di impiego dei risparmi, anche alla luce dell’entrata in vigore della legge sul bail-in. Un tema particolarmente sentito soprattutto dai lavoratori visto che, come emerge dalle indagini condotte dal Mefop c’è uno zoccolo duro composto da un 20% di italiani che non si fida e nutre pregiudizi sistematici verso la previdenza complementare come forma di risparmio. Non a caso le iscrizioni, pur con i recenti aumenti, restano basse e coprono solo un terzo circa dell’intera platea di lavoratori italiani.
Ma cosa rischia chi aderisce a un fondo pensione? Il punto della situazione lo ha fatto Mauro Bichelli, direttore del fondo negoziale Fondapi: «Il fondo pensione è un organismo che gestisce un patrimonio a parte che è fatto di tanti cassetti separati, che sono i conti pensionistici individuali dei soci. Se, come è accaduto in qualche caso, come per il fondo pensione Edilpre, il fondo non riesce con i pochi contributi dei soci a sostenere le spese di gestione, su indicazione delle parti che lo hanno costituito e su sollecitazione della vigilanza si rivolge ai soci e chiede a ciascuno se preferisce la restituzione delle somme accantonate oppure se vuole trasferire le somme ad un altro fondo pensione indicato».
Sempre in tema di investimenti, «la legge obbliga il fondo pensione alla massima diversificazione a tutela del risparmio previdenziale, e quindi ogni singola posizione del socio è la somma di un certo numero di quote», prosegue Bichelli, citando l’esempio di un lavoratore che possiede mille quote di un determinato comparto. «Questo significa che possiedo mille parti uguali. Ogni singola quota è identica al patrimonio complessivo: se il comparto è suddiviso in 284 obbligazioni e 307 azioni vuol dire che ogni singola quota del risparmio è suddivisa nello stesso modo», spiega Bichelli.
Ma chi vigila sui fondi pensione? «Vigila la Covip, l’autorità di settore, il Collegio dei Revisori contabili presente in ogni seduta di consiglio, e la banca depositaria, che non è il gestore. In sostanza i titoli sono depositati in un cassetto diverso e separato dal gestore finanziario in modo che la banca che li custodisce verifichi le operazioni ordinate dal gestore e la loro coerenza con la legge e i mandati tecnici previsti dal fondo. L’attività di monitoraggio della gestione finanziaria viene svolta dal direttore, dalla funzione finanza, dal comitato finanza dove siedono alcuni componenti del cda. Inoltre i gestori finanziari sono di frequente incontrati per conoscere previsioni e valutare le scelte», sottolinea Bichelli, puntualizzando che nel portafoglio di Fondapi «nessun titolo» coinvolto nel crack delle quattro banche era posseduto dal fondo. «Al momento nel comparto Crescita la somma dei titoli subordinati pesa per il 2,3% circa e un titolo in media rappresenta lo 0,6% del totale; nel comparto Prudente il peso totale è il 2,7% circa con un peso medio per titolo dello 0,15%, nel comparto Garanzia non ci sono titoli di questo tipo».
Se questo è il quadro delle garanzie a tutela degli scritti, sul fronte del numero degli aderenti, nel 2015, in base agli ultimi dati Covip al 30 settembre, si è vista una crescita del 10,4% del numero di iscritti ai fondi pensione negoziali, agli aperti e ai pip, saliti a più di 7,1 milioni. Un forte aumento rispetto all’andamento degli ultimi anni (+5,4% del 2014, +6,1% nel 2013 e +5,3% nel 2012) trainato dall’exploit dei fondi negoziali che nei nove mesi hanno visto gli aderenti aumentare del 24,3% da inizio anno (472 mila iscritti in più) rispetto alla variazione negativa messa a segno negli ultimi anni (-0,3% nel 2014, -1% nel 2013 e -1,2% nel 2012). Il boom è spiegato dall’esperimento del fondo negoziale Prevedi che a gennaio 2015 ha introdotto l’iscrizione obbligatoria dei dipendenti con il solo contributo del datore di lavoro. «L’incremento più rilevante si registra nei fondi negoziali grazie all’innovativa esperienza del settore edile: a partire da gennaio 2015, è stato introdotto un meccanismo di adesione automatica di tipo contrattuale che prevede il coinvolgimento, mediante il versamento del contributo datoriale, di tutti i lavoratori dipendenti della categoria», sottolinea Covip. Infatti nel corso del 2015 le adesioni a Prevedi, che a fine 2014 contava 39 mila iscritti, sono salite fino a coprire quasi l’intera platea di riferimento di circa 530 mila unità. Più in linea con la crescita degli anni precedenti i fondi aperti e i pip. Per gli aperti gli iscritti sono aumentati di circa il 5,2% portando il totale a fine settembre a 1,1 milioni. Gli aderenti ai pip sono saliti a 2,506 milioni, il 6,3% in più rispetto alla fine del 2014. Ecco perché c’è chi, come Mauro Marè, presidente del Mefop, auspica che per convincere gli italiani ad aderire alla previdenza complementare quella adottata da Prevedi sia una buona soluzione, perché è una formula nella quale l’iscrizione non viene vista dall’individuo come obbligatoria, e che permette di raggiunge con costi bassi l’obiettivo di far aderire i lavoratori al fondo pensione, laddove spesso le campagne informative rischiano di fare più fatica a raggiungere questo risultato per inerzia o ignoranza. (riproduzione riservata)