di Roberta Castellarin e Paola Valentini
Anche se la voluntary disclosure si apre all’insegna di alcuni nodi che vanno chiariti, il provvedimento sarà comunque l’ultima chiamata per mettere in regola i capitali nascosti al fisco sia in Italia sia soprattutto all’estero. La procedura serve a regolarizzare le violazioni agli obblighi di dichiarazione annuale dei capitali detenuti all’estero compiute fino al 30 settembre 2014 e prevede l’obbligo di versare le imposte evase e gli interessi in maniera integrale, mentre le sanzioni godono di significative riduzioni. E l’accordo fiscale in arrivo tra Italia e Svizzera non lascerà più tanti margini di manovra a chi detiene, non dichiarandoli, i capitali oltre frontiera. Inoltre l’intesa tra i due Paesi rende meno oneroso il ravvedimento volontario che è, attualmente, molto alto per coloro che detengono capitali in Stati Black list.
Ecco perché le stime sui possibili rientri parlano di 80 miliardi di euro, su un totale di capitali depositati illecitamente all’estero di 200 miliardi. La posta in gioco è quindi alta e le private bank sono già pronte da diversi mesi per raccogliere i flussi di denaro che emergeranno. E che potranno dare un altro forte impulso alla raccolta del 2015 dopo un 2014 che si è chiuso con una crescita record per le società di asset management italiane. A partire da Banca Generali , molto attiva nelle precedenti edizioni dello scudo fiscale, che ha in serbo diverse novità nel 2015 a partire dal lancio entro l’estate della nuovo servizio Bg Personal Advisory con soluzioni per la consulenza immobiliare, fiscale, di corporate finance, family office e passaggio successorio. «Siamo pronti già da qualche mese con i test intorno alle nostre soluzioni di consulenza evoluta che stanno riscontrando molto interesse e che si preannunciano distintive nell’innovazione della piattaforma», spiega il condirettore generale di Banca Generali Gian Maria Mossa. D’altra parte un contesto di tassi molto bassi necessita la ricerca di nuove strade di investimento. «Oggi il premio richiesto per gli investimenti meno convenzionali è ai massimi storici, ed è proprio in queste situazioni che occorre muoversi in controtendenza e con tempismo. Ci sono interessanti prospettive nel mondo dei prestiti, ma guardiamo con attenzione a tutto il segmento del private equity e debito privato. Oltre a queste soluzioni meno liquide e di nicchia, ci stiamo focalizzando su famiglie di prodotti nei nostri fondi e fondi di fondi», prosegue Mossa, prodotti che prevedono anche di andare controcorrente, in gergo short, sull’azionario, credito e duration dei bond. D’altra parte il 2014 è stato un altro anno di grande crescita per Banca Generali «che ha segnato nuovi record sul fronte dei risultati finanziari, della raccolta, cresciuta di oltre il 60% rispetto al 2013, con 3,7 miliardi a fine novembre al primo posto nelle classifiche Assoreti, e dei reclutamenti dove abbiamo avuto circa un centinaio di innesti di notevole valore», sottolinea Mossa. Non a caso Banca Generali guida la classifica Assoreti delle masse pro-capite per promotore finanziario con oltre 21 milioni pro-capite (media del settore 14 milioni). «I nostri consulenti hanno raccolto mediamente oltre 2,5 volte in più della media del settore, a conferma delle potenzialità di crescita nella nostra struttura in presenza di servizi di qualità per la clientela. I reclutamenti inseriti hanno portafogli in linea a queste posizioni grazie alla comprovata esperienza e alle spiccate competenze. Provengono per lo più da primarie banche private italiane e internazionali», afferma Mossa.
Boom di raccolta nel 2014 anche per Finecobank : i 4 miliardi ottenuti, con un incremento del 61% rispetto al 2013, sono il record storico per la società del gruppo Unicredit . «Un risultato che conferma la capacità della nostra rete di personal financial advisor di proporre ai clienti un’offerta all’avanguardia di servizi di consulenza e di intercettare la sempre maggiore richiesta di gestione e pianificazione dei propri risparmi da parte degli italiani. Il percorso di crescita di Fineco nel 2014 ha avuto un’ulteriore accelerazione con la quotazione in borsa che ci consente, grazie a una maggiore visibilità, di attrarre sia nuovi clienti sia professionisti e consulenti di elevato profilo con esperienza consolidata, in grado di gestire le esigenze della clientela di fascia alta», spiega Alessandro Foti, ad di Finecobank .
Ma la normativa delle voluntary disclosure presenta anche alcune criticità. «Una di queste è connessa alla segnalazione delle operazioni sospette da parte dei professionisti», spiega Roberto Lenzi, senior partner dello studio legale Lenzi e Associati di Milano. Questi ultimi, in virtù della previsione contenuta all’art. 12 del dlgs 231/2007, pur essendo tenuti agli adempimenti ex lege in materia di antiriciclaggio non sono tenuti all’obbligo specifico di segnalazione di operazione sospetta in tutti quei casi in cui «ricevano dal cliente informazioni nel corso dell’esame della posizione giuridica o nell’espletamento di compiti difensivi o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso». «Nel momento in cui nella procedura di voluntary si esce dal binario della difesa del cliente, la cosiddetta consulenza difensiva o di pre-contenzioso, e si va su un piano diverso, ad esempio quando il cliente revoca l’incarico per affidarlo ad altro professionista, oppure se la prestazione si qualifica anche come consulenza e assistenza non solo giuridica, come ci si dovrebbe comportare?», si chiede Lenzi. Che suggerisce, onde evitare di trovarsi a posteriori coinvolti in problematiche sanzionatorie non ipotizzate, che siano meglio chiariti questi aspetti. «Per gli intermediari, invece, in assenza di specifica previsione normativa parrebbero non esserci esimenti. Diventerà pertanto estremamente delicato per questi ultimi, salvo chiarimenti successivi in materia, non ricevere direttamente dal cliente alcuna informativa, coinvolgendo necessariamente i professionisti del caso», conclude il legale.
A differenza delle precedenti edizioni dello scudo fiscale degli anni 2000, questa volta il provvedimento si rivela un meccanismo molto più complesso, anche perché bisogna ricostruire ogni singolo movimento. Ma è un prezzo da pagare per non avere in futuro guai peggiori. «I contribuenti che detengono attività non dichiarate, o comunque da regolarizzare, sono consigliati di valutare la propria posizione e la potenziale applicazione delle sanzioni e punibilità penale, ma è decisamente raccomandabile l’adesione alla procedura», avverte Giulia Cipollini, Responsabile della practice tax di Withers. Entro la fine dei questo mese si attendono i chiarimenti dell’Agenzia delle entrate. Poi l’operazione di rimpatrio potrà entrare nel vivo. E i tempi sono stretti perché la finestra si chiuderà il 30 settembre. (riproduzione riservata)