Vito de Ceglia
O gni anno più di 2,3 milioni di analisi vengono effettuate sugli alimenti dai laboratori accreditati da Accredia. Così come vengono svolte 600mila ispezioni e analizzati più di 200mila campioni di prodotti dagli organismi del controllo ufficiale coordinati dal ministero della Salute. Mentre gli organismi di certificazione (accreditati e poi autorizzati dal ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali) eseguono più di 30mila controlli sulla qualità dei prodotti alimentari. Sono i numeri che riporta un’indagine realizzata da Censis e Accredia, l’ente unico nazionale di accreditamento, per testimoniare che nel nostro Paese le maglie del controllo sono molto strette e gli standard di sicurezza per la salute dei consumatori elevati. Un’ulteriore conferma sotto questo aspetto arriva anche da una relazione (luglio 2013) del Ministero della Salute che riporta come soltanto lo 0,4% dei prodotti agroalimentari italiani controllati presentano residui chimici oltre il limite, percentuale nettamente inferiore alla media europea dell’1,5% e a quella mondiale del 7,9%. Nonostante queste cifre risultino incoraggianti, gli episodi sempre più frequenti di alterazioni, falsificazioni e contraffazioni di prodotti alimentari, in primis quelli importati da Paesi non comunitari, mettono in apprensione oltre 4 milioni di famiglie le quali si dicono preoccupate della qualità dei prodotti alimentari acquistati abitualmente. Si tratta del 16% delle famiglie, che sempre più spesso
si pongono domande sulla qualità dei prodotti al momento dell’acquisto. Quasi il 53%, viceversa, indica che ha solo qualche leggera perplessità su alcune categorie di prodotto. Mentre il restante 30,7% si dice sicuro degli alimenti che consuma. «Se queste percentuali si leggono in modo corretto — spiega Filippo Trifiletti, direttore generale di Accredia — risulta evidente che la maggior parte delle famiglie italiane si fida di ciò che acquista. Ma è altrettanto vero che sono numerose le persone che oggi temono che la carne o il pesce possano contenere sostanze nocive e soprattutto che i prodotti confezionati, surgelati e cibi etnici possano essere stati mal conservati, in particolare quelli venduti al discount. Certo non aiuta poi — aggiunge il dg — l’enfasi con cui certi episodi di frode o di contraffazioni vengono trattati creando un forte senso di allarmismo tra la gente». Trifiletti, per essere chiaro, porta come esempio pratico un recente fatto di cronaca: quello della presunta presenza di botulino in alcune confezioni di pesto alla genovese prodotte da un’azienda ligure. «Un allarme che poi si è rivelato falso, come hanno dimostrato le controanalisi dell’Istituto superiore di Sanità — sottolinea il dg — Non solo, lo stesso produttore, nel tentativo di risolvere qualsiasi tipo di dubbio, si è autodenunciato dimostrando grande trasparenza». Questo fatto, fa notare Trifiletti, mette in luce però un altro aspetto su cui riflettere: il basso grado di conoscenza tra le persone del sistema di allerta e del sistema dei controlli che le Autorità pubbliche attualmente mettono in campo per garantire elevati livelli di sicurezza. Un dato che emerge sempre dall’indagine Accredia-Censis che ha interpellato un campione di 1.200 consumatori italiani, di varie fasce d’età e tipologie familiari. Il 30% degli intervistati ritiene che i controlli da parte delle autorità siano oggi efficaci. A questo si deve aggiungere una quota del 51% che li considera efficaci, pur ritenendo che alcune categorie di prodotto possano sfuggire alle verifiche. Ciò nonostante, colpisce che il 70% ritenga che tali controlli o non siano efficaci o cha abbiano comunque alcune falle, tali da non riuscire a prevenire realmente i fattori di rischio sulla salute dei consumatori. La percentuale di insicurezza aumenta tra gli abitanti del Sud Italia: l’81% dei quali mostra timori per il cibo che consuma, unica area geografica a presentare un risultato sopra la media. In merito, è evidente che i fatti di cronaca come quelli della Terra dei Fuochi in Campania, sebbene rappresentino fenomeni isolati, sollevino grandi quesiti di sicurezza delle produzioni alimentari e di tutela della salute dei consumatori. Che tali timori siano determinati da vere esperienze negative, o si tratti di dubbi dettati anche dal susseguirsi di casi di inquinamento, contraffazione o sofisticazione, poco importa. «Il problema è un altro — spiega il dg —, ovvero che diventa determinante invece consolidare il legame di fiducia tra i consumatori ed il sistema della produzione e della distribuzione alimentare ». Da questo punto di vista, l’elemento prioritario su cui agire è senza dubbio la trasparenza. Come dimostra il 70% delle famiglie che dichiara di leggere frequentemente le etichette e di prestare molta attenzione ai marchi di qualità dei prodotti alimentari che sta per acquistare (Dop, Igp e Stg). «Questo è un trend ormai consolidato — sottolinea Trifiletti — Lo dico da consumatore: ad esempio, se oggi voglio acquistare un olio extravergine, sullo scaffale della Gdo posso trovare due tipi di prodotto: uno extravergine normale ed uno italiano al 100% che costa qualcosa di più. Quindi, la differenza di qualità è chiara e tracciabile». Ma è sugli elevati standard di qualità e di sicurezza dei prodotti italiani che il dg insiste sottolineando che il settore agroalimentare italiano continua a crescere, nonostante la crisi che contraddistingue da tempo l’economia del Paese. Il 70% dei consumatori intervistati nell’ambito di un sondaggio ritiene che i controlli sugli alimenti non siano efficaci o che abbiano comunque alcune falle I RESIDUI CHIMICI Secondo i dati del Ministero della Salute, soltanto lo 0,4% dei prodotti agroalimentari italiani controllati presentano residui chimici oltre il limite, percentuale nettamente inferiore a quelle che sono la media europea dell’1,5% e la media mondiale che è del 7,9%