In tabella sono riportati i risultati di alcune simulazioni su un orizzonte temporale di 20 anni, quale potrebbero essere le situazioni di lavoratori che hanno cominciato a lavorare nel 1996 (anno di nascita della gestione separata) e che prevedano di pensionarsi nel 2016, decorso il primo «ventennio» di operatività della gestione separata (qual è in alcuni casi il minimo contributivo per mettersi in pensione). La semplificazioni degli esempi sta nel considerare «solo» la contribuzione versata alla gestione separata, al fine di evidenziare le effettive «potenzialità» della stessa gestione di garantire una pensione (non di funzionare solamente come «fonte di acquisizione di risorse», come una sorta di ”tassazione contributiva”). In tutti gli esempi, i contributi versati annualmente sono stati rivalutati in base ai tassi comunicati dall’Inps (media del pil quinquennale) e si è considerato una crescita del reddito del 5% annuo. Un risultato comune è il tasso di sostituzione (ossia quanto vale la pensione rispetto all’ultimo reddito): 18,87% in ogni caso, con una differenza di 20 punti percentuali rispetto al medesimo tasso ipotizzabile, nelle stesse condizioni, per i lavoratori in regime «retributivo» e stimato al 38,65%.
Esempio 1 – Riguarda un lavoratore con un reddito medio di 8 mila euro, che abbia cominciato a lavorare nel 1996 con un reddito di euro 4.500 e intenda smettere nel 2016, dopo 20 anni, quando guadagna 11.940 euro. L’unica via per pensionarsi è quella della vecchiaia a 70 anni e sei mesi, con diritto a una pensione mensile di 173 euro (2.253 euro all’anno). Tutte le altre vie di pensionamento sono invece precluse perché il lavoratore o non raggiunge il requisito contributivo (con quel reddito così basso, sempre inferiore al minimale contributivo vigente anno dopo anno, per ogni anno di lavoro riceve dall’Inps un accredito di 5-6 mesi di contribuzione) oppure non riesce a soddisfare la condizione dell’importo minimo di pensione.
Esempio 2 – Riguarda un lavoratore con reddito medio di 21.400 euro, che abbia cominciato a lavorare nel 1996 con un reddito di euro 12 mila e intenda smettere nel 2016, dopo 20 anni, quando guadagna 31.840. Anche per questo lavoratore l’unica via per pensionarsi è quella della vecchiaia a 70 anni e sei mesi, con diritto a una pensione mensile di 462 euro (6 mila euro annui). Tutte le altre vie di pensionamento sono invece precluse perché il lavoratore non riesce a soddisfare la condizione dell’importo minimo di pensione.
Esempio 3 – Riguarda un lavoratore con reddito medio di 32.100 euro, che abbia cominciato a lavorare nel 1996 con un reddito di euro 18.000 e intenda smettere nel 2016, dopo 20 anni, quando guadagna 47.759. Il lavoratore può pensionarsi di vecchiaia con diritto a una pensione mensile di 693 euro (9 mila euro annui).
Esempio 4 – Riguarda un lavoratore con reddito medio di 44.650 euro, che abbia cominciato a lavorare nel 1996 con un reddito di euro 25 mila e intenda smettere nel 2016, dopo 20 anni, quando guadagna 66.332. Il lavoratore può pensionarsi di vecchiaia con diritto a una pensione mensile di 963 euro (12.500 euro annui).
Esempio 5 – L’ultimo esempio riguarda un lavoratore con reddito medio di 71.400 euro, che abbia cominciato a lavorare nel 1996 con un reddito di euro 40 mila e intenda smettere nel 2016, dopo 20 anni, quando guadagna 106.132. Il lavoratore, super-compensato, può scegliere tutte le vie per pensionarsi: di vecchiaia o anticipata. Può andare in pensione anche prima, cioè a 63 anni e 6 mesi. Qualunque sia la scelta ha diritto a una pensione mensile di 1.540 euro (20 mila euro annui), molto lontana dal suo ultimo reddito (106 mila euro) ma più dignitosa per vivere e non per sopravvivere.