di Anna Messia
Parte il grande piano di privatizzazioni dello Stato italiano. E si inizia subito con la portata principale: la dismissione del 40% del capitale delle Poste Italiane, che dovrebbe fruttare al governo tra 4 e 4,8 miliardi, il che implicherebbe una valorizzazione del gruppo compresa tra 10 e 12 miliardi.
Poi si potrà salire ancora con la vendita di un’altra manciata di azioni (anche se non subito e in ogni caso non oltre il 49%). Mentre sul tavolo c’è già pronto un altro dossier, più piccolo, ovvero la dismissione del 49% dell’Enav, l’ente di assistenza al volo, che dovrebbe far incassare un altro miliardo (la valorizzazione è compresa tra 1,8 e 2 miliardi). A catena, come ha annunciato il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, arriveranno altre tranche di società (come il 3% di Eni, o Sace, per esempio, anche se partecipata tramite Cdp) in un piano di dismissioni destinato a dispiegarsi per il prossimo biennio e a consentire allo Stato di incassare complessivamente più di 12 miliardi, utili per ridurre il debito.
Intanto si comincia da Poste: l’annuncio dell’avvio dei cantieri era stato dato dallo stesso Saccomanni giovedì 24, da Davos, e il giorno successivo, venerdì 25, il consiglio dei ministri ha dato ufficialmente il via all’operazione di valorizzazione delle Poste Italiane, oggi controllate al 100% dal ministero dell’Economia, intenzionato comunque a non mollare il controllo, mantenendo il 51% delle azioni. Il decreto era un passaggio obbligato (visto che le Poste svolgono un servizio di pubblica utilità) e non è ancora entrato nei dettagli dell’operazione, ma ha tracciato il percorso che dovrebbe concludersi in tempi piuttosto brevi: 5-6 mesi ha dichiarato in una recente audizione alla Camera il viceministro dello Sviluppo Economico, Antonio Catricalà.
Insomma, entro l’estate nel capitale di Poste Italiane saranno presenti investitori privati, anche se non è ancora chiaro come avverrà il loro ingresso. Il decreto prevede infatti che il processo di apertura del capitale di Poste si realizzi con un’offerta di largo mercato rivolta al pubblico, ma «anche in più fasi». Si potrebbe per esempio pensare di realizzare inizialmente un collocamento privato e solo successivamente la quotazione in borsa delle Poste Italiane? Non è escluso come ha ventilato qualche giorno fa il viceministro Catricalà, visto che la prima ipotesi su cui starebbe tentando di lavorare il governo, e che troverebbe anche il sostegno dell’amministratore delegato, Massimo Sarmi (e dei sindacati), sarebbe il collocamento privato, anche se più complicato rispetto alla quotazione, che semplificherebbe di certo l’ingresso degli investitori istituzionali. Si vedrà nelle prossime settimane quale sarà il percorso preferito. Intanto, grazie alla emanazione del decreto, che dovrà ora ricevere il parere delle commissioni parlamentari competenti e dovrà tornare ancora al consiglio dei ministri, si potrà dare avvio per esempio alla selezione degli advisor e dei consulenti tecnici che si occuperanno della privatizzazione. Processo che, per esempio, è già stato avviato per Sace che già la prossima settimana dovrebbe individuare la società di consulenza che predisporrà il piano industriale in vista della probabile ipo (alla gara hanno partecipato tutte le principali società di consulenza del mercato, da Bain a Kpmg, da Deloitte a Boston Consulting.
Di certo tra gli azionisti delle Poste ci saranno presto gli oltre 145 mila dipendenti del gruppo che dovrebbero ricevere azioni gratis e partecipare alla governance della società con un modello innovativo per l’Italia. «Non vogliamo rivendicare percentuali altissime tali da squilibrare il governo dell’azienda ma riteniamo che una quota del 5% sia consona ai lavoratori», ha dichiarato recentemente Mario Petitto, segretario generale della Slp Cisl, sindacato cui aderiscono più del 50% dei lavoratori delle Poste. Una partecipazione che, secondo Petitto, non dovrebbe avvenire attraverso l’attribuzione di azioni in forma individuale come accaduto per altre aziende come Alitalia. Ma piuttosto come una quota che rimanga indivisa nella proprietà dei lavoratori. (riproduzione riservata)