I capitali da mettere sul piatto sono tanti, almeno 700 milioni. Il tempo per trovarli stringe, visto che il termine è fissato per il 31 marzo. Al momento la banca, ovvero Carige, non ha trovato il modo per colmare il gap patrimoniale richiesto da Bankitalia (800 milioni) e la Fondazione, che detiene il 46% dell’istituto ligure, non ha avuto modo di reperire capitali a sufficienza per contribuire al progetto di rafforzamento necessario e per garantire il sostegno al piano di ristrutturazione e rilancio cui stanno lavorando i nuovi vertici della banca.
Il percorso è dunque ancora tortuoso dopo che nell’ultimo anno e mezzo Genova ha visto rivoluzionato il potere bancario cittadino. Prima, anche per via della moral suasion degli organi di vigilanza, se n’è andato, in occasione di una tumultuosa assemblea, il presidente diCarige, ossia quel Giovanni Berneschi che aveva trascorso nell’istituto più di 50 anni, di cui 25 da deus ex machina. Poi si è dovuto ritirare dalla scena, con tre anni d’anticipo rispetto alla scadenza del mandato, anche il numero uno della Fondazione Carige, l’imprenditore dolciario Flavio Repetto (Elah Dufour).
Tocca quindi ai nuovi arrivati, ovvero per la Fondazione al nuovo presidente Paolo Momigliano (coadivuato dai vicepresidenti Giacomo Rossignotti e Roberto Rommelli) e per la banca al presidente Cesare Castelbarco Albani e all’amministratore delegato Piero Montani trovare la quadratura del cerchio. Reperire i 700 milioni circa resta difficile perché la banca fatica a trovare compratori per le due compagnie assicurative messe in vendita (valore tra 400 e 600 milioni). Questa impasse ha un effetto immediato su ruolo, peso, operato e strategie della Fondazione Carige che, priva delle risorse necessarie per aderire al sempre più probabile aumento di capitale della banca, non sa come uscire dall’angolo, visto che cedendo piccoli pacchetti azionari dell’istituto incasserebbe poco visto il corso corrente del titolo, mentre se si priva della partecipazione (0,6%) in Cassa Depositi e Prestiti fa un torto al ministero dell’Economia, da mesi in pressing sulla gestione interna dell’ente e sulla reale capacità di finanziarie le erogazioni al territorio. Per questa ragione Momigliano ha chiesto a un professionista del calibro di Angelo Provasoli (tra l’altro presidente di Rcs) una consulenza a 360 gradi per capire come restare in sella alla banca senza colpo ferire. E, come emerso dal cda di giovedì 23 gennaio, Provasoli ha illustrato una serie di simulazioni, sulla base di diverse ipotesi di soglie d’aumento (da un minimo di 300 milioni al massimo, teorico, di 800 milioni) che vedrebbero la Fondazione scendere dall’attuale 46% a un più auspicabile 30% (quota sulla quale si ragiona da un anno circa) fino a una partecipazione risicata del 14%. Perché i denari in cassa sono pochi. Ora scatterà la fase 2: la ricerca dell’advisor che dovrà aiutare l’ente a trovare alleati a vario titolo e capitali. In corsa ci sono 13 banche d’affari (tra queste Lazard, Banca Imi, Unicredit, Goldman Sachs, Jp Morgan, Rothschild). In poco tempo andrà individuato il consulente che consenta ai vertici della Fondazione di non arrivare allo scontro diretto con il management dalla banca sui tempi di realizzazione della ricapitalizzazione. Evitare a Genova una replica della battaglia consumatasi a Siena è l’imperativo di Momigliano, che ha solo due mesi di tempo per trovare la soluzione migliore e più indolore. E per questo chiederà di allungare la scadenza almeno fine a giugno.
Sotto la Lanterna si dice che presto partirà la ricognizione porta-a-porta per trovare alleati, siano essi industriali locali, Fondazioni bancari o capitali esteri. A Momigliano non dispiacerebbe un impegno da parte dei Malacalza e dei Garrone, le due famiglie più in vista e liquide del capoluogo ligure. Così come si cercherà un contatto con la Fondazione CariSavona, la CariCarrara e la Banca Monte di Lucca, già azioniste di Carige nel mini-patto, il cosiddetto «patto Berneschi», che ha il 6% e che fa riferimento all’ex banchiere. Ma si guarderà anche all’estero, con un occhio di riguardo nei confronti di fondi sovrani e investitori istituzionali. (riproduzione riservata)