L’obbligo di prevenzione di cui all’art. 2087 c.c., che non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva, impone al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata e quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre che in concreto si rendano necessarie per la tutela del lavoratore in base all’esperienza e alla tecnica; tuttavia, da detta norma non può desumersi la prescrizione dì un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile ed innominata, diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere automatica la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che il danno si sia verificato, occorrendo invece che l’evento sia riferibile a sua colpa, dal momento che la colpa costituisce, comunque, elemento della responsabilità contrattuale del datore di lavoro.
Il caso
L’infermiere di un ospedale insegue un paziente che, volontariamente ricoverato, s’allontana dalla struttura e, per farlo, scavalca un cancello, cade e si infortuna gravemente.
L’infortunio è indennizzato, ma l’infermiere chiama in giudizio la A.S.L. per essere integralmente risarcito dei danni subìti. I giudici del merito respingono la sua domanda, ritenendo che l’obbligazione di lavoro assunta non comportava l’esigibilità della condotta nel caso tenuta dal dipendente, e precisamente l’inseguimento del paziente fuori dai locali dell’ospedale, utilizzando modalità gravemente imprudenti (scavalcamento del cancello).
Cassazione civile, sez. lav., 17 aprile 2012, n. 6002