Quello che molti ipotizzavano come un atto dovuto, ieri ha trovato certezza documentale: la Procura di Siena ha iscritto Banca Monte dei Paschi nel registro degli indagati ai sensi della legge 231 sulla responsabilità amministrativa delle società.
Il provvedimento è vergato nero su bianco sul decreto di perquisizione spiccato nel maggio scorso dai magistrati Aldo Natalini, Antonino Nastasi e Giuseppe Grosso, che stanno appunto indagando sull’acquisizione di Antonveneta. La notizia è arrivata ieri pomeriggio e ha creato subito forte agitazione sia a Siena sia a Piazza Affari, dove il titolo Mps è crollato del 9,46%. Al punto che si è reso necessario un chiarimento diretto dei magistrati. Dopo la chiusura della borsa la Procura di Siena ha diramato uno stringato comunicato che puntualizza: «Il contesto investigativo è sensibile e complesso esclusivamente rispetto al ruolo svolto nei fatti oggetto di indagine dal precedente management». Tradotto in parole povere: la 231 si applica soltanto alla banca (che rischia una salatissima multa) e non agli amministratori, sicché non ci saranno conseguenze di alcun tipo per i nuovi vertici di Mps. L’inusuale comunicazione della Procura si presta comunque a diverse interpretazioni. A qualcuno è parsa un ridimensionamento delle dichiarazioni rese martedì 29 dal procuratore capo Tito Salerno, che faceva riferimento a una situazione «incandescente e pericolosa». È chiaro comunque che il clima intorno alla Procura è tesissimo, anche se a breve potrebbero non esserci novità clamorose e il lavoro investigativo potrebbe durare ancora molte settimane. Per il momento i filoni di indagine sono due: il primo per aggiotaggio, manipolazione del mercato e ostacolo dell’attività di vigilanza riguarda l’acquisizione di Banca Antonveneta, mentre il secondo si concentra su operazioni di finanza strutturata in seguito alla trasmissione di un fascicolo della Procura di Milano con le ipotesi di reato di truffa e appropriazione indebita. Secondo quanto appreso, questa seconda pista condurrebbe al Fresh 2008, il prestito convertibile da un miliardo collocato da Jp Morgan a investitori istituzionali, e alle indemnity (garanzie supplementari) concesse ad alcuni di questi sottoscrittori, come il Jabra Fund del finanziere libanese Philippe Jabra. Tali garanzie, tenute verosimilmente nascoste alla Banca d’Italia, avrebbero di fatto trasferito il rischio di impresa dai bondholder alla banca, aggirando un’esplicita richiesta fatta da Via Nazionale. Non è ancora chiaro se quella indemnity sia stata sottoposta al consiglio di amministrazione, ma forse proprio da quel peccato originale sono derivate le spericolate operazioni di finanza strutturata finite ora sotto la lente dei magistrati senesi e giustificate all’epoca dalla insaziabile sete di liquidità del Monte. Una risorsa decisiva per far luce su queste zone grigie è rappresentata dai testimoni che nei prossimi giorni potrebbero essere ascoltati dai magistrati. Dopo l’interrogatorio di Valentino Fanti, ex segretario del consiglio di amministrazione di Mps, dovrebbe comparire di fronte ai magistrati Norberto Sestigiani, ex dirigente ed azionista della banca che già nel 2008 denunciò diverse irregolarità con esposti a Consob e Bankitalia. Nel frattempo la procura di Milano ha trasmesso a Siena tutte le carte depositate agli atti dell’inchiesta del pm Roberto Pellicano con al centro la finanziaria svizzera Lutifin. L’inchiesta di Milano è stata chiusa a novembre nei confronti di 18 persone per le quali ora si appresta a chiedere il processo. Si infittisce infine il mistero intorno alle presunta verifica fiscale sulla vendita da parte di Mps di Palazzo dei Normanni, a Roma. Dopo le indiscrezioni uscite nei giorni scorsi, ieri sera la banca ha fatto sapere di “non essere a conoscenza di alcun accertamento fiscale”. Altre speculazioni circolano intorno all’operazione Chianti Classico, una cartolarizzazione del patrimonio immobiliare che potrebbe aver causato perdite milionarie, smentite però seccamente dalla banca con una nota. (riproduzione riservata)