di Andrea Di Biase
Gigante in Italia e nano in Europa? Una formula che non può funzionare più, nemmeno per Mediobanca. Non solo perché, complice la crisi del debito sovrano e le sue ripercussioni sull’economia reale, le dimensioni del mercato italiano della consulenza all’M&A, così come di quello dei collocamenti azionari (Equity Capital Markets), sono destinate ancora per qualche tempo a rimanere sui livelli minimi toccati negli ultimi quattro anni, se non addirittura a contrarsi ulteriormente nei prossimi mesi.
Ma anche perché, a fronte di una torta sempre più piccola, la concorrenza delle grandi banche d’affari estere (anche se qualcuna ha preferito rimodulare la propria presenza in Italia), specie nel campo dei collocamenti azionari, e delle boutique specializzate nell’advisory, in particolare nel settore delle ristrutturazione del debito, si sta facendo sempre più agguerrita. Come accaduto alla Fiat nel settore auto, dove la contrazione del mercato interno e di quello europeo più in generale, associata alla crescente concorrenza dei produttori esteri, ha convinto Sergio Marchionne a puntare con forza su Stati Uniti e Sudamerica, anche Mediobanca si trova ad affrontare uno scenario analogo nei mercati nei quali è stata leader incontrastata negli anni.
Senza tornare agli anni 90, quando l’istituto guidato da Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi era monopolista di fatto nel mercato della consulenza per l’M&A e nei collocamenti azionari, come emerso nell’«indagine conoscitiva sul settore dei servizi di finanzia aziendale», condotta nel 1995 dell’Antitrust di Giuliano Amato e dalla Banca d’Italia di Antonio Fazio, anche nell’ultimo decennio l’istituto di Piazzetta Cuccia si è confermato il principale player nel mercato italiano dell’Equity Capital Markets (il collocamento di titoli in ipo e aumenti di capitale). Tra il 2002 e il 2012 Mediobanca si è classificata al primo posto nella classifica stilata da Thomson Reuters per ben otto volte su undici e, considerando l’intero arco di tempo, il risultato è ancora più impressionante. Con 101 operazioni per un controvalore complessivo di 29,7 miliardi di euro, l’istituto guidato da Alberto Nagel si colloca al primo posto, staccando un colosso come Goldman Sachs (35 operazioni per 11,7 miliardi). Un primato che, secondo gli osservatori più critici nei confronti di Mediobanca, deriverebbe principalmente dalle operazioni realizzate con i gruppi industriali e le istituzioni finanziarie tradizionalmente vicine, per legami azionari o partecipazioni incrociate, alla banca d’affari: la cosiddetta Galassia. In realtà questa analisi poteva essere vera qualche anno fa. Dall’indagine conoscitiva di Antitrust e Bankitalia era emerso infatti che delle operazioni di collocamento azionario realizzate da Mediobanca tra il 1990 e il 1995, circa l’80% riguardavano società partecipate dalla banca d’affari o azioniste della stessa. I mandati ricevuti da clienti indipendenti erano solo il 20%. Oggi questa proporzione si è completamente invertita. Già nel periodo 2002-2007 il peso delle operazioni con parti correlate si è attestato al 27% sul totale dei collocamenti realizzati. Un’incidenza che nell’arco di tempo 2008-2012 si addirittura ridotta al 15% (compresi i recenti aumenti di capitale di FonSai e Unipol). Questo è il frutto del progressivo scioglimento del sistema di intrecci azionari creato negli anni da Cuccia e Maranghi e della poltica, intrapreso recentemente dal management della banca d’affari. Ciò non ha comunque impedito a Mediobanca di lucrare importanti commissioni nelle operazioni realizzate da alcuni dei suoi azionisti. Tra il 2002 e il 2012 Piazzetta Cuccia ha partecipato, anche se accanto ad altre istituzioni finanziarie, a ben cinque collocamenti azionari di società del gruppo Pirelli, ha coordinato i consorzi di garanzia degli aumenti di capitale di Unicredit, è stata accanto ai gruppi Benetton e Gavio nelle numerose operazioni realizzate in questo arco di tempo e, almeno fino al 2008, è stata una delle banche di riferimento (se non la banca di riferimento) della Fondiaria-Sai di Salvatore Ligresti. Oltre a finanziare il gruppo attraverso l’erogazione di prestiti subordinati per circa 1 miliardo, la banca d’affari ha curato l’emissione del convertibile Sai International (2004), la cessione di una parte del patrimonio immobiliare (2003), il collocamento del pacchetto in Swiss Life (2006), la realizzazione delle joint ventureBpm Vita e Popolare Vita, nonché le acquisizioni di Liguria e Sasa (2008). Da allora in poi, però, più niente. Almeno fino al recente scontro con l’ex azionista di riferimento del gruppo assicurativo e l’impegno a garantire il doppio aumento di capitale di FonSaie Unipol propedeutico all’integrazione tra i due gruppi.
La leadership sul mercato italiano tuttavia non basta più. Se si osserva la classifica europea dell’Equity Capital Markets relativa all’esercizio 2012, Mediobanca, che in Italia nello stesso periodo si è posizionata prima con sei operazioni per un controvalore di 1,18 miliardi, a livello continentale si piazza solo al tredicesimo posto, in miglioramento rispetto alla ventunesima piazza del 2011, ma comunque staccatissima dalla vetta, dove primeggia Goldman Sachs con 35 deal per un controvalore di 11,4 miliardi. E il quadro non è certo migliore se si considerano i servizi di advisory per le operazioni di merger & acquisition. Qui la concorrenza si è fatta sentire anche sul mercato italiano, dove Piazzetta Cuccia non ha più la leadership da ben tre anni. Scivolata al dodicesimo posto nel 2010 e nel 2011, lo scorso anno la banca presieduta da Renato Pagliaro si è posizionata sul terzo gradino del podio dietro Morgan Stanley e Rothschild per quanto riguarda il controvalore delle operazioni, ma rimane comunque leader per numero di operazioni (40 deal in un anno) in cui è stata advisor. A livello continentale la più blasonata banca d’affari italiana è invece solo venticinquesima nella classifica delle operazioni concluse, ma comunque in forte progresso rispetto alla quarantaquattresima posizione del 2011. Merito soprattutto dei risultati conseguiti sul mercato spagnolo dalla succursale aperta nel 2007 a Madrid, grazie a una brillante intuizione di Nagel, e affidata al 56enne Borja Prado, un banchiere d’affari con importanti relazioni nell’establishment spagnolo. Stando alle rilevazioni di Thomson sui deal annunciati, nel 2012 la banca di Piazzetta Cuccia ha preso parte in qualità di advisor a 13 operazioni per un controvalore complessivo di 11,4 miliardi di dollari, piazzandosi nella top 10 del mercato.Mediobanca, che solo un anno prima si posizionava al ventiduesimo posto, nello scorso esercizio si è classificata al sesto posto. E qualche importante risultato comincia a vedersi anche sul mercato francese, dove l’istituto di Piazzetta Cuccia è balzato dal trentesimo al quattordicesimo posto nella classifica delle operazioni concluse (8) per un controvalore di circa 8,8 miliardi di dollari.
La progressiva internazionalizzazione della banca, più che un’opzione strategica, appare dunque come una necessità. Nel corso della prime riflessioni fatte nel consiglio di amministrazione di Mediobanca lo scorso novembre qualche ragionamento sarebbe stato fatto su come allargare la presenza dell’istituto anche oltre il mercato italiano. L’idea di Nagel, che sembrerebbe essere condivisa dal cda, sarebbe quella di procedere al rafforzamento delle sedi esistenti, potenziando anche la piattaforma attiva nell’Equity Capital Markets a Londra, e di espandersi in altri mercati ma senza procedere ad acquisizioni di aziende. La strategia sembra essere quella di replicare quanto fatto in Spagna e cioè assoldare un banker di primo piano in grado con la propria rete di relazioni di portare clienti e operazioni alla banca d’affari. (riproduzione riservata)