di Luca Gualtieri

«Ma quale rischio di commissariamento? Questa bufera rafforza gli attuali vertici delMonte dei Paschi e permette loro di presentarsi come i proconsoli di Banca d’Italia».

Così un esponente di spicco della politica senese commenta gli avvenimenti dell’ultima settimana, cioè lo scandalo finanziario legato ai prodotti Santorini e Alexandria che martedì 22 ha determinato le dimissioni del presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, ex numero uno del Monte. Un punto di vista in controtendenza rispetto alla vulgata di questi giorni che dipinge Rocca Salimbeni come una banca sull’orlo del commissariamento e che ha scatenato per le vie di Siena scene che non si erano mai viste prima: l’indignazione dei piccoli soci in assemblea, i picchetti dei sindacati, la disperazione dei dipendenti, le invettive di Beppe Grillo in piazza e le sparate populistiche della Lega Nord.

 

Eppure in questa vulgata, cavalcata opportunisticamente dalla politica, più di un elemento non torna e proprio questo aspetto ne inficia l’attendibilità. Ad esempio, non convince che le rivelazioni del Fatto Quotidiano siano una novità assoluta. Lo conferma la vicenda del contratto Alexandria (un cdo al quadrato, cioè un cdo che a sua volta investe, nello stesso giorno, in un altro cdo), di cui già aveva parlato ampiamente la trasmissione televisiva Report nella primavera scorsa. Riesce difficile credere che l’amministratore delegato Fabrizio Viola e il presidente Alessandro Profumo ne siano venuti a conoscenza soltanto il 10 ottobre scorso. Al contrario, il buon senso suggerisce che non solo i vertici della banca sapessero dell’esistenza di contratti rischiosi, ma che ne fosse a conoscenza perfino la Procura di Siena, dopo i massicci sequestri di documenti compiuti il 9 maggio scorso dalla Guardia di Finanza. Senza contare che, come emerso venerdì 25, anche la Procura di Milano indaga da tempo su queste operazioni finanziarie con le ipotesi di reato di truffa e appropriazione indebita. Proprio un paio di mesi fa, gli atti di questa indagine sono stati trasmessi ai magistrati senesi Antonino Nastasi e Giuseppe Grosso. Va infine ricordato che, su richiesta di Consob e Bankitalia, alla fine di novembre la banca alzò per la prima volta il velo su queste operazioni, menzionando esplicitamente la «redditività negativa di talune operazioni strutturate poste in essere in esercizi precedenti». Insomma molti a Siena sono convinti che i prodotti finanziari del Monte siano stati per almeno nove mesi «un segreto di Pulcinella di cui sia la banca, sia le procure, sia gli azionisti più attenti erano a conoscenza», come spiega una fonte senese a Milano Finanza.

Qualunque sia stata la regia della bufera mediatica, è indubbio che i vertici della banca ne usciranno paradossalmente rafforzati. L’operazione di trasparenza messa in atto nei confronti degli azionisti e delle autorità di vigilanza servirà infatti a chiudere definitivamente i conti con il passato. Nella prima decade di febbraio il consiglio di amministrazione del Monte determinerà l’impatto e il trattamento contabile di Santorini, Alexandria e Nota Italia, mentre il prodotto chiamato Patagonia non dovrebbe essere oggetto di analisi per il suo basso livello di rischio. Dati alla mano, i vertici della Rocca potranno valutare l’esistenza di dolo effettivo e decidere se procedere o meno con un’azione di responsabilità verso gli ex dirigenti. Soluzione, questa, gradita alla Fondazione Mps, oggi azionista di maggioranza relativa con il 34%, che mercoledì 23 ha lasciato trapelare l’intenzione di procedere legalmente.

Qualcuno addirittura considera la bufera dei derivati come la tappa conclusiva della transizione dal vecchio Monte alla nuova banca targata Profumo-Viola. Fu proprio l’amministratore delegato Viola, poco dopo il suo insediamento, a dare un segnale di rottura con il passato costringendo alle dimissioni Gianluca Baldassarri, controverso direttore centrale e responsabile dell’area finanza. Nei mesi successivi il ceo ha determinato un ricambio radicale delle prime e seconde linee della banca, con l’arrivo di Bernardo Mingrone quale cfo al posto di Marco Massacesi, di Ilaria Dalla Riva come responsabile delle risorse umane e di Sergio Vicinanza quale capo dell’area finanza e tesoreria.

Al contempo sono mutati gli assetti di governo della banca e ciò ha allentato la presa della politica senese sull’istituto di credito. Nel corso del 2012 la Fondazione ha dovuto ridurre la partecipazione in Mps dal 49 al 34% attraverso dismissioni mirate. Si è trattato di una mossa obbligata, visto che la Fondazione si trovava priva delle risorse necessarie per ripagare parte del miliardo di debiti accumulato negli ultimi anni. Ma la discesa più brusca nel capitale di Mps è attesa per il 2014, quando è previsto che la banca possa lanciare un aumento di capitale da 1 miliardo senza diritto d’opzione. In quella sede la Fondazione potrebbe scegliere così di diluirsi sensibilmente, rivoluzionando gli assetti di controllo.

 

Lo scandalo di questi giorni offre ai vertici della banca l’opportunità di compiere l’ultimo strappo con il passato, con la certezza di avere dalla propria parte la Banca d’Italia. Nella lettera di mercoledì 23 Via Nazionale ha sottolineato che «i nuovi amministratori stanno cooperando con l’autorità giudiziaria e con la Banca d’Italia per accertare le passate circostanze».

Se la prima linea del Monte appare al sicuro, all’orizzonte permangono però pesanti incognite, a partire da quelle legate alle inchieste in corso. Venerdì 25, proprio mentre era in corso l’assemblea straordinaria chiamata ad approvare l’emissione dei Monti Bond e un aumento di capitale da 4,5 miliardi, sono emerse indiscrezioni su un’inchiesta penale per falso in bilancio relativa alla passata gestione della banca. Quale sarà l’esito di queste indagini non è dato sapere, ma di certo alcuni banchieri di Rocca Salimbeni saranno chiamati a rendere conto delle operazioni del passato. «Insomma», suggerisce una fonte, «solo la crisi potrà porre le basi del rinnovamento della più antica banca del mondo». (riproduzione riservata)