Il 2013 si apre sotto auspici positivi per i fondi comuni italiani. Grazie alle buone performance ottenute in media dai gestori tricolore nel 2012, la raccolta potrebbe tornare a rivedere il segno più. D’altra parte, come emerge da un’analisi di Citywire sono proprio i rendimenti dell’ultimo anno e non tanto la storia di risultati sul lungo periodo, a guidare le scelte degli investitori nel risparmio gestito.
Una percentuale superiore a quelle degli ultimi anni: dal 2000, ovvero da quando è stato introdotto in Italia questo parametro, la percentuale dei vincitori sul benchmark oscilla attorno al 10-20%; ha fatto eccezione il 2009 quando la percentuale di gestori sopra l’indice è stata simile (42%) per il fatto che azioni e bond erano cresciuti in modo indiscriminato avvantaggiando i fondi italiani tradizionalmente agganciati all’indice.
A dare una mano ai risultati 2012 c’è anche la nuova tassazione dei fondi italiani (introdotta il 1° luglio 2011) che si basa sul criterio per cassa, in sostituzione della tassazione sul maturato, in base alla quale giorno dopo giorno viene prelevato dal rendimento il 12,5% (oggi 20%). In caso di mercati al rialzo il criterio per cassa permette ai fondi di aumentare i guadagni perché aumenta di fatto la base investibile. Un’opportunità in più che i gestori italiani possono sfruttare. Ma ecco in dettaglio il confronto effettuato da MF/Milano Finanza tra i fondi comuni di diritto italiano e i loro benchmark di mercato.
Sui fondi di diritto italiano che hanno dichiarato a fine 2012 la performance dell’indice di riferimento, il 42,8%, come detto, è riuscito a fare meglio del parametro. Una media dietro la quale si nascondono differenze tra categorie. A partire dai fondi monetari area euro, dei quali l’88% ha superato l’indice: in media tali comparti hanno reso quasi il 3% contro l’1,3% dell’indice di mercato. Ma c’è anche chi in questa categoria ha superato il 10%. In questo caso i gestori hanno scommesso sui titoli di Stato italiani approfittano di rendimenti molto generosi delle emissioni a breve termine lanciate durante la crisi dello spread e poi beneficiando appieno del recupero delle quotazioni dopo gli interventi estivi della Bce. Basti pensare che il Bot semestrale emesso a novembre del 2011 assicurava un rendimento lordo del 6,5%. È il caso di AcomeA Liquidità, che ha chiuso l’anno con un guadagno di oltre il 14,5% a fronte di un benchmark che ha ottenuto l’1,5%. AcomeA è una delle sgr che ha più fondi che battono l’indice, in compagnia di Prima, Ubi Pramerica, Eurizon ed Arca. Un risultato notevole, che anche in questo caso si spiega con il super rendimento ottenuto da chi all’inizio dell’anno avesse in portafoglio i titoli di Stato italiani, l’hanno ottenuto anche i fondi obbligazionari euro governativi breve termine: il 70% ha superato il benchmark. Ma i gestori italiani sono stati bravi anche a cavalcare il rally dei bond societari dell’euro-zona. Nella categoria obbligazionari euro corporate investment grade, tutti i fondi hanno battuto il benchmark. Tra gli azionari invece quasi il 23% del campione è riuscito a fare meglio dell’indice. I gestori hanno brillato in particolare nei mercati più conosciuti. A partire da Piazza Affari dove il 90% ha battuto il benchmark. In media, i fondi azionari Italia hanno reso il 15% contro il +10% del Comit. Il migliore è risultato Fondersel Italia (+20%). Nelle borse dell’area euro invece soltanto il 12,5% dei money manager ha superato il benchmark: qui spicca il fondo Prima Geo Euro di Anima sgr la cui classe Y ha reso più del 22,5% contro quasi il 22% dell’indice. Mentre negli azionari internazionali uno su cinque ha battuto il mercato: nell’anno le borse mondiali (Msci world) hanno reso quasi il 18% e il miglior fondo è Ubi Pramerica Privilege 5 (+19,7%). Le società di gestione italiane dal 2000 hanno l’obbligo di calcolare e rendere pubblica ogni settimana la performance a 12 mesi del benchmark scelto per ogni fondo. Dal confronto sono stati esclusi i prodotti che non l’hanno pubblicata. Da sottolineare infine che ci sono società, come ad esempio Azimut, specializzate nei fondi flessibili, che in quanto tali non hanno benchmark. (riproduzione riservata)