Il sostegno al lavoro, in particolare quello delle donne e dei giovani, è secondo nei proclami dei politici in campagna elettorale solo all’intenzione di ridurre le tasse. Nessuno fa però capire come concretamente intenda favorire queste categorie. Azzerare del tutto contributi e tasse (come assumere in nero), come Silvio Berlusconi ha ipotizzato, è impossibile. E poi è difficile prendere seriamente una proposta se non si spiega come si intende finanziarla. Vale però la pena di chiedersi se ci può essere spazio, sotto il profilo costituzionale e finanziario, per una forte differenziazione fiscale tra diversi generi e anagrafi di contribuenti. Sgravi e aliquote fiscali molto più basse, anche del 5-10%, per giovani e donne fino ai 30 anni – altrimenti condannati spesso a restare disoccupati o ad arrivare con fatica ai fatidici 1.000 euro al mese – quanto costerebbero all’erario in termini di minore gettito? Forse poco, soprattutto se si tiene conto che quei 1.000 euro andrebbero in affitti (per non sembrare più choosy o bamboccioni in famiglia), in consumi e per qualcuno nel disegno, prima irraggiungibile, di qualche risparmio per mettere in cantiere casa, famiglia e figli. Figli che, anche per Mario Monti, mancano all’appello, nonostante i passati flussi di immigrazione.
Sgravi forti a donne e giovani, dunque, per fare ripartire dal basso l’economia reale, disintermediando anche la spesa pubblica. Che cosa c’è di meglio? E l’erario, tra Iva su consumi e altre imposte messe in movimento, finirebbe forse per andare in pari. Se poi si volesse trovare subito una copertura finanziaria alle agevolazioni, perché non pensare a ribaltare l’attuale contributo tra generazioni (pochi giovani che pagano le pensioni ai molti anziani)? Si potrebbe chiedere qualcosa agli ultra 65enni (che dovrebbero essere in pensione, già prima della riforma Fornero) che guadagnano più di 100 mila euro l’anno. Non se ne troveranno tantissimi, ma principi e primi passi, anche se piccoli, contano. Ci sono tanti top manager o ex top manager, nel pubblico e nel privato, di 65-70-80 anni e più, che guadagnano ancora molto, oltre alle pensioni (basate sul vecchio sistema retributivo) che i giovani non vedranno mai; continuano con il lavoro per anni, incassando emolumenti che certo non servono loro né per vivere né per aumentare i consumi di base (alimentari, abbigliamento, auto, casa) che notoriamente diminuiscono con l’età, mentre i giovani non se li possono permettere. Alzando le imposte sui compensi di alcune centinaia (o migliaia) di amministratori over 65 di banche, società quotate o grandi enti (magari beneficiari anche di paracadute dorati), si potrebbero finanziare gli sgravi per migliaia (o decine di migliaia) di giovani.
Certo, gli anziani ricchi pagano già aliquote marginali alte, ma è difficile pensare che per personaggi come Luca Montezemolo, Giovanni Bazoli, Elsa Fornero o lo stesso Mario Monti, benestanti, over 65 o quasi e titolari di pensioni varie, il rinunciare a parte degli emolumenti extra pensione, sarebbe un sacrificio insopportabile. Non si tratta di dare la caccia ai ricchi per farli fuggire in Russia (com’è cambiato il mondo, prima lì i ricchi da quelle parti li impiccavano) come Depardieu: ma sono proprio questi i nomi che potrebbero, con l’esempio e un nobile gesto in proprio, passare dalle belle parole sul futuro altrui alle proposte concrete. (riproduzione riservata)