Di Debora Alberici
Non sono imponibili le somme corrisposte al lavoratore a titolo di risarcimento per la perdita di chance. A differenza dello stipendio non ha natura reddituale.
È quanto affermato dalla Corte di cassazione che, con la sentenza numero 29579 del 29 dicembre 2011, ha deciso il caso di una lavoratrice che aveva vinto la causa contro l’azienda per perdita di chance.
Il fisco le aveva notificato un accertamento per recuperare l’Irpef non pagata motivando la richiesta sulla base della circostanza che il ristoro era stato corrisposto a titolo di differenze retributive e quindi aveva natura reddituale.
Contro l’atto impositivo la donna ha presentato ricorso alla commissione tributaria provinciale di Bologna che l’ha annullato. La decisione è stata poi confermata dalla Ctr e ora è stata resa definitiva dalla Cassazione. Infatti gli Ermellini hanno respinto il ricorso dell’Agenzia delle entrate. Ad avviso della difesa dell’amministrazione finanziaria il giudice di secondo grado avrebbe sbagliato a non considerare le modalità di determinazione dell’indennizzo, emblematiche, dal momento che questo è stato determinato sulla base del presunto maggior reddito che la contribuente avrebbe, per ipotesi, percepito.
La tesi dell’amministrazione finanziaria è stata respinta dai giudici del Palazzaccio che, a più riprese, hanno sottolineato la natura non reddituale del risarcimento determinato dal tribunale di Parma, in qualità del giudice del lavoro, per via equitativa.
In particolare il collegio di legittimità ha sottolineato che «la perdita di chance, consistente nella privazione della possibilità di sviluppi o progressioni nell’attività lavorativa, costituisce un danno patrimoniale risarcibile, qualora sussista un pregiudizio certo (anche se non nel suo ammontare) consistente non in un lucro cessante, bensì nel danno emergente da perdita di una possibilità attuale; ne consegue che la chance è anch’essa una entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, qualora si accerti, anche utilizzando elementi presuntivi, la ragionevole probabilità della esistenza di detta chance intesa come attitudine attuale».
Fra l’altro, si legge nel passaggio successivo, «il quesito formulato dal fisco conclusione del mezzo, non può ritenersi conferente, tenuto conto che la sentenza impugnata ha evidenziato che nella determinazione del quantum il tribunale di Parma aveva fatto, espressamente, ricorso al criterio di valutazione equitativa, e che il riferimento al maggior stipendio non conseguito, rilevando ai limitati fini della determinazione del quantum, non era, quindi, idoneo a mutare il titolo di attribuzione».
Anche la procura generale della Suprema corte, nell’udienza tenutasi al Palazzaccio lo scorso 26 ottobre, ha chiesto al collegio di legittimità di confermare la decisione della Ctr dell’Emilia Romagna e quindi di non considerare imputabile il ristoro corrisposto dall’azienda alla lavoratrice.