Addio ai 40 anni di contributi e addio alle quote che permettevano l’uscita in pensione prima dei 65 anni con almeno 35 anni di contributi. Nel 2012 c’è una sola via di uscita: accumulare almeno 42 anni e un mese di contributi se uomini, 41 anni e un mese se donne. A proposito va annotata una piccola ma importante novità: la prima versione della manovra Monti stabiliva che la contribuzione pagata oltre i 40 anni era ininfl uente ai fi ni della misura della futura pensione. In pratica una vera e propria beffa per i lavoratori che, per due anni e un mese (un anno e un mese le donne), avrebbero dovuto lavorare e pagare i contributi senza ricevere nulla in cambio. Invece nella versione fi nale della riforma la penalizzazione non c’è più, cancellata a seguito delle osservazioni rilevate in commissione lavoro alla camera. Perciò si resterà di più al lavoro, ma i contributi serviranno a migliorare il futuro assegno di pensione: di poco (come detto nelle pagine precedenti), ma parteciperanno alla base di calcolo della pensione. Per la nuova pensione anticipata è previsto, dunque, un requisito unico, di tipo contributivo, che va a sostituire la vecchia e cara «pensione di anzianità» nelle due specie di quella raggiungibile con il «requisito solo contributivo» (i 40 anni) e di quella con le «quote». Infatti, fi no al 31 dicembre 2011, il pensionamento anticipato si poteva ottenere qualora, sommando gli anni di anzianità contributiva e l’età anagrafi ca, si riusciva a raggiungere un numero prefi ssato (la famosa quota), ferma restando una soglia minima di età e contributi (35 anni). Questa «quota» rappresentava l’opzione alternativa per chi non riusciva a raggiungere i 40 anni di versamenti contributivi, nel qual caso la pensione si poteva ottenerla a qualunque età. In particolare, nel 2011 occorreva raggiungere quota 96 con un’età non inferiore a 60 anni (quota 97 e almeno a 61 anni i lavoratori autonomi); così sarebbe stato anche per l’anno 2012. La manovra Monti, invece, ha abolito le quote e il vecchio e caro requisito unico dei «40 anni». Nelle tabelle in pagina sono riportati i nuovi requisiti per la pensione anticipata messi a confronto con quelli della vecchia pensione di anzianità che sarebbero valsi quest’anno se non fosse arrivata la manovra Monti. Il bilancio è piuttosto avaro ai lavoratori, perché in ogni caso c’è un allungamento della permanenza al lavoro, la cui durata varia da uno a sei anni. Per esempio, il dipendente che nel 2012 sarebbe potuto andare in pensione raggiungendo quota 96 compiendo i 66 anni e avendone 35 di contributi versati, avrebbe intascato il primo assegno di pensione a distanza di 13 mesi dal suo compleanno, ossia a 62 anni e un mese di età. Adesso che è entrata in vigore la riforma Monti non può più andare in pensione, e deve attendere di maturare il nuovo requisito unico di 42 anni e un mese per lasciare il lavoro: ben sei anni di lavoro in più, salvo che non riesca prima a maturare i requisiti per lasciare con la pensione di vecchiaia. Le penalizzazioni. Al fine di disincentivare il pensionamento anticipato, rispetto a quello di vecchiaia la manovra Monti ha introdotte delle misure di riduzione dell’assegno pensionistico. Infatti, se si chiede la pensione anticipata prima dei 62 anni di età, l’assegno verrà corrisposto, per la quota retributiva (a chi spetta, con riferimento alle anzianità maturate fi no al 31 dicembre 2011), con una riduzione pari all’1% per ogni anno di anticipo fi no a 60 anni e pari al 2% per ogni di anticipo rispetto ai 60 anni. Questo signifi ca che un lavoratore con 39 anni di lavoro alle spalle, alla data del 31 dicembre 2011, che contava di raggiungere i 40 anni nel 2012 e incassare la pensione nel 2013 (dopo un anno e due mesi) ora dovrà aspettare il mese di aprile del 2015. Non solo, ma se la sua età nel 2015 è inferiore a 62 anni, per esempio di 60 anni, il trattamento che riceverà dall’Inps sarà ridotto nella misura del 2% (1% per ogni anno di anticipo rispetto ai 62 anni).
© Riproduzione riservata