Per rendere sempre più puntuale e tempestiva la rilevazione del fenomeno infortunistico, a partire dalla seconda metà del 2011 l’INAIL ha reso pubblici i dati provvisori aggiornati su base trimestrale. Dagli ultimi dati disponibili emerge che nel periodo compreso tra gennaio e settembre il numero degli infortuni si è ridotto di circa 26mila casi rispetto allo stesso periodo del 2010 (da 579mila a 553mila), pari a una flessione del 4,5%. I dati aggiornati al terzo trimestre 2011 rivelano anche una flessione meno accentuata dei casi mortali, che sono passati da 697 a 691, in diminuzione dello 0,9%. L’andamento dell’ultimo trimestre rende ipotizzabile a fine anno un bilancio consuntivo di 750mila infortuni sul lavoro, rispetto ai 775mila del 2010, e un numero di morti ancora inferiore a mille.
Casi mortali in aumento in agricoltura. Nei primi nove mesi dell’anno la flessione del numero degli infortuni ha riguardato tutti i rami di attività, ma è stata più pronunciata nell’industria (-6,7%) rispetto all’agricoltura (-4,9%) e ai servizi (-3,1%). Il dato appare più significativo se si considera che le rilevazioni Istat attestano, nel periodo di riferimento, una crescita dell’occupazione complessiva compresa tra lo 0,1% e lo 0,4%. Nel settore costruzioni, in cui gli occupati risultano diminuiti dell’1,2%, gli infortuni hanno fatto segnare un -9,8%. Il calo è stato generalizzato ma meno rilevante al Nord (-3,8%) rispetto al Centro (-4,9) e al Sud (-6,4%), dove peraltro il numero di occupati è cresciuto dell’1,2%, contro lo 0,3% del Nord e il -0,3% del Centro. Il Mezzogiorno è caratterizzato anche da una consistente flessione dei casi mortali (-13,9%), che invece aumentano al Nord (+6,6%) e al Centro (+4,3%). Il numero dei lavoratori che hanno perso la vita si è contratto nei servizi (-3,6%), mentre è aumentato in agricoltura (+4,7%) ed è rimasto sostanzialmente stabile nell’industria.
Da Santa Venerina ad Arpino, l’annus horribilis della pirotecnia. Nonostante la conferma del trend in diminuzione degli infortuni sul lavoro e dei casi mortali, anche il 2011 è stato funestato da alcuni gravi incidenti, che confermano la necessità di tenere sempre alta la guardia sul fronte della prevenzione e della vigilanza. Il 10 gennaio l’esplosione nella fabbrica di fuochi d’artificio Pirotecnica Etnea di Santa Venerina, in provincia di Catania, è costato la vita a Petru Merla, operaio rumeno di 39 anni, e Giuseppe Adornetto, 75enne di Mascali. Ancora più grave il bilancio dell’incidente avvenuto il 12 settembre ad Arpino, in provincia di Frosinone, nell’azienda di fuochi d’artificio della famiglia Cancelli. Nello scoppio che ha completamente distrutto la fabbrica e l’area limitrofa sono morti il titolare dell’azienda Claudio Cancelli, i due figli Gianni e Giuseppe, due operai, Francesco Lorini ed Enrico Battista, e Giulio Campoli. Secondo le rilevazioni della Consulenza statistico attuariale dell’INAIL, tra il 2007 e il 2010 sono stati 66 gli infortuni sul lavoro – 11 dei quali mortali – che si sono verificati in Italia nel settore della pirotecnia. In media, dunque, ogni anno ha registrato 17 incidenti, tre dei quali dall’esito letale. Il comparto vede impegnate 277 aziende per un totale di 564 addetti. Le dimensioni estremamente contenute delle imprese, con un personale rappresentato in media da due unità, la manipolazione di materiale esplosivo e il carattere prevalentemente artigianale e manuale delle lavorazioni svolte spiegano la potenzialità elevata di rischio infortunistico del settore. I dati territoriali segnalano, inoltre, il forte radicamento delle aziende nelle regioni del Centro-Sud, dove è particolarmente diffuso l’utilizzo dei botti e dei fuochi d’artificio al termine delle feste popolari. Ed è proprio in tali regioni che nell’ultimo quadriennio si è verificato il 70% degli infortuni (45 casi) e il 90% delle morti complessive.
Il monito di Napolitano dopo la tragedia di Barletta. Tra gli incidenti che hanno fatto più scalpore nel corso dell’anno, il crollo della palazzina di via Roma a Barletta in cui il 4 ottobre hanno perso la vita quattro operaie di un maglificio situato al primo piano – Matilde Doronzo, 32 anni, Giovanna Sardaro, 30 anni, Antonella Zaza, 36 anni, e Tina Ceci, 37 anni – e Maria Cinquepalmi, figlia 14enne dei proprietari dell’azienda. La loro morte ha spinto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a intervenire ancora una volta per denunciare “l’inaccettabile ripetersi di terribili sciagure, laddove si vive e si lavora”, che “impone l’accertamento rigoroso delle cause e delle responsabilità e soprattutto l’impegno di tutti – poteri pubblici e soggetti privati – a tenere sempre alta la guardia sulle condizioni di sicurezza delle abitazioni e dei luoghi di lavoro con una costante azione di prevenzione e vigilanza”. La tragedia di Barletta ha riportato al centro del dibattito il tema del sommerso, perché le quattro operaie decedute sotto le macerie lavoravano in nero per pochi euro. “Queste povere ragazze morte – ha detto Napolitano nel giorno del loro funerale – lavoravano per 3,95 euro all’ora e non si sa per quante ore al giorno. Ora nessuno può far carico a quelle donne di avere accettato quelle condizioni di lavoro terribili e di insicurezza, ma questo è lo specchio di un’Italia che fatica nel senso più pesante del termine”. A rinfocolare le polemiche anche il fatto che i residenti del palazzo, preoccupati per le crepe che si erano aperte nei muri, avevano chiesto e ottenuto, quattro giorni prima del crollo, un sopralluogo da parte dei tecnici comunali. Che purtroppo non è servito a evitare la tragedia.
Il 12 dicembre al PalaTrieste il crollo del palco di Jovanotti. “Ogni incidente sul lavoro ci costringe a riflettere sulle gravi responsabilità che tutti noi abbiamo e che dovrebbero diventare quasi un’ossessione. È una battaglia di civiltà alla quale personalmente non solo non mi sottrarrò, ma vi dedicherò ogni mia energia”. Queste le parole con cui il neoministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha commentato la notizia della morte di un giovane di 20 anni, Francesco Pinna, e il ferimento di altre otto persone nel crollo del palco su cui avrebbe dovuto svolgersi un concerto di Jovanotti all’interno del PalaTrieste. L’incidente, avvenuto il 12 dicembre, ha provocato la sospensione immediata del tour del cantante, che su Twitter ha commentato: “Questa tragedia mi toglie il fiato e mi colpisce profondamente. Un tour è una famiglia e si lavora per portare in scena la vita e la gioia”. Le cause che hanno provocato la frana dell’impalcatura che si è accartocciata sul lato destro, dove evidentemente il peso era maggiore, sono ancora al vaglio degli inquirenti.
Sentenza storica per il rogo alla Thyssenkrupp. Il 2011 sarà anche ricordato come l’anno della storica sentenza di primo grado per il rogo che nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007 costò la vita a sette operai che lavoravano a un forno sulla linea 5 dello stabilimento Thyssenkrupp di Torino: Antonio Schiavone, 36 anni, Roberto Scola, 32 anni, Bruno Santino, 26 anni, Angelo Laurino, 43 anni, Rosario Rodinò, 26 anni, Giuseppe De Masi, 26 anni, e il loro capoturno Rocco Marzo, 54 anni. Per “la più grande tragedia sul lavoro che si sia mai verificata in Italia in periodo recente”, come l’hanno definita i pubblici ministeri, il 18 aprile la Corte d’Assise di Torino, dopo quasi cento udienze, ha condannato l’amministratore delegato di Thyssenkrupp, Harald Espenhahn, a 16 anni per omicidio volontario con dolo eventuale, a 13 anni e sei mesi altri quattro dirigenti – Gerald Priegnitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri – riconosciuti responsabili di omicidio colposo, e a 10 anni e 10 mesi Daniele Moroni, responsabile dell’area tecnica. Per il pm Raffele Guariniello, che ha guidato l’accusa, la sentenza ha rappresentato “una svolta epocale” nel panorama degli incidenti sul lavoro. “Non era mai successo che per una vicenda di morti sul lavoro fosse riconosciuto il dolo eventuale”. Nelle 460 pagine di motivazioni, depositate il 16 novembre, si sottolinea che i vertici dell’acciaieria sapevano che la filiale di Torino, ormai prossima alla chiusura, versava in “gravissime carenze strutturali e organizzative”. Rispetto agli alti standard di sicurezza degli altri stabilimenti sparsi fra la Germania e l’Umbria: il personale era ridotto al minimo, gli estintori erano sempre scarichi, c’erano già stati incendi risuonati come campanelli d’allarme. Persino la compagnia assicuratrice aveva aumentato la franchigia. Eppure per “scelta miope”, scrive il giudice, si decise di continuare la produzione come se niente fosse. Per la difesa, che ricorrerà in appello, la sentenza è “uno stravolgimento e una forzatura dei dati di fatto, che invece sono molto chiari a discolpa”.
Il 6 dicembre la commemorazione delle sette vittime dell’acciaieria. In attesa delle nuove tappe processuali, il 6 dicembre, in occasione del quarto anniversario del rogo, le sette vittime sono state commemorate con una cerimonia al cimitero monumentale di Torino alla quale hanno partecipato i parenti, alcuni dipendenti dell’acciaieria e rappresentanti delle istituzioni. Lo stesso giorno l’associazione Legami D’Acciaio ha annunciato che familiari e colleghi si costituiranno parte civile anche negli altri due filoni processuali legati a quello principale già arrivato al giudizio di primo grado. L’iniziativa riguarda il processo a dirigenti e dipendenti dell’azienda per falsa testimonianza e quello che vede coinvolti alcuni dirigenti della Asl 1 di Torino. L’associazione ha anche sollecitato il sindaco Fassino a “trovare un posto di lavoro utile e dignitoso per i 12 ex operai Thyssen entro giugno 2012, quando finirà la mobilità” e ha assicurato che vigilerà perché “non si faccia alcuna speculazione sulle aree ex Thyssen e si dia immediato mandato al risarcimento di tutte le parti civili da parte di Thyssenkrupp, ancora oggi inadempiente”.
Una condanna anche per la strage del 2006 alla Umbria Olii. Pochi giorni prima di quella nel capoluogo piemontese, un’altra commemorazione si è svolta a Campello sul Clitunno, in provincia di Perugia, dove il 25 novembre 2006 quattro operai persero la vita nello stabilimento Umbria Olii, una raffineria tra le più grandi d’Europa in cui al momento dell’incidente erano stipati almeno 500mila litri di olio d’oliva. Maurizio Manili, Tullio Mottini, Vladimr Todhe e Giuseppe Coletti, titolare e operai di una ditta di carpenteria di Narni, stavano montando una passerella in cima a uno dei silos quando due esplosioni li uccisero all’istante, scatenando un rogo che i vigili del fuoco riuscirono a domare solo dopo diverse ore. Tre settimane dopo la celebrazione del quinto anniversario della strage, il tribunale di Spoleto ha condannato in primo grado l’unico imputato, l’imprenditore Giorgio Del Papa, 63 anni, a sette anni e sei mesi di reclusione per omicidio colposo plurimo, omissione dolosa delle cautele sul lavoro e incendio. La procura spoletina aveva chiesto una condanna a 12 anni di reclusione. Secondo la ricostruzione dei pm, nell’impianto sarebbe stato trattato olio di sansa grezza caratterizzato dalla presenza di solventi, fonti di potenziali atmosfere esplosive. Questo senza avere provveduto a valutare i relativi rischi per la salute e la sicurezza, e senza avere adottato le misure tecniche e organizzative adeguate alla natura di tale attività, al fine di prevenire la formazione di atmosfere esplosive o comunque di evitarne l’accensione. Proprio questi gas, sostiene l’accusa, innescarono l’esplosione durante i lavori di saldatura di una passerella tra due silos. Del Papa ha invece sempre rivendicato la correttezza del proprio comportamento. Soddisfatta ma composta la reazione dei familiari dei quattro operai morti alla sentenza di condanna. ”Nessuno mi potrà mai ridare mio marito – ha commentato una delle vedove – ma giustizia è stata fatta”.
Fonte: INAIL