Dall’anno 2012 non ci sono più differenze, tra lavoratori, circa il criterio di calcolo delle pensioni. La manovra Monti, infatti, ha esteso a tutti il «sistema contributivo». In particolare, dal 1° gennaio 2012, ossia con riferimento alle anzianità contributive maturate a partire da tale data, le quote di pensioni sono calcolate tutte con il sistema contributivo. Il sistema contributivo funziona grosso modo come un libretto di risparmio. Il lavoratore accantona ogni anno parte dei propri guadagni (se è un lavoratore dipendente accantona, con il concorso pure dell’azienda, il 33% dello stipendio; se è un lavoratore autonomo accantona il 21,30% del proprio reddito, con l’aliquota che salirà al 24% entro l’anno 2018 sempre per effetto della manovra Monti; se è un collaboratore accantona il 27% del proprio compenso). I contributi sono versati fi no a una certa soglia defi nita «tetto contributivo pensionabile» (per il 2012 pari a 96.107 euro). I contributi versati costituiscono il montante contributivo e producono una sorta di interesse composto, al tasso legato alla dinamica quinquennale del Pil (prodotto interno lordo). Quindi più cresce l’Azienda Italia, maggiori sono le rendite su cui i lavoratori possono contare. Alla data del pensionamento, al montante contributivo rivalutato è applicato un coeffi ciente, detto di trasformazione, che converte i contributi in pensione. La misura di tale coefficiente cresce con l’aumentare dell’età; per esempio, è pari al 4,419% per chi va in pensione a 57 anni (se mai fosse possibile), sale al 5,093% per chi accede alla pensione a 62 anni oppure al 5,620% per chi decide di lavorare fi no a 65 anni.
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