di Paola Valentini
Ogni anno gli italiani pagano una tassa nascosta: nel 2015 è stata di 569 euro, con un aumento di 80 euro rispetto al 2013. Si tratta della spesa che i cittadini pagano di tasca propria per curarsi. Il totale fa 34,5 miliardi a fine 2015, valore record che si confronta con i 27,2 miliardi del 2010. Il problema è che soltanto il 13% di questa spesa è intermediata da fondi o polizze sanitarie (4,5 miliardi nel 2015). Nello stesso periodo la spesa sanitaria pubblica è diminuita da 112 miliardi del 2010 a 111 miliardi del 2015 e 2016. Da una parte ci sono i vincoli di finanza pubblica che non consentono di erogare alla sanità risorse senza limiti, dall’altra le richieste di cura delle popolazione crescono, non soltanto perché la quota di anziani aumenta ma anche perché l’evoluzione scientifica alza l’asticella qualitativa, aumentando le aspettative di cura. Ogni anno quindi si assiste a un dibattito serrato sui finanziamenti da destinare al Servizio sanitario nazionale. E anche il 2016 non fa eccezione. Il 7 settembre la Conferenza Stato-Regioni ha approvato i nuovi Lea (i Livelli essenziali di assistenza, le prestazioni che il Ssn è tenuto a garantire ai cittadini), un aggiornamento necessario visto che gli ultimi risalgono al 2001 e questi 15 anni i cambiamenti in medicina sono stati rilevanti sia sul fronte di nuove malattie, sia nell’evoluzione scientifica.

In particolare il decreto sui Lea «definisce le attività, i servizi e le prestazioni garantite ai cittadini con le risorse pubbliche messe a disposizione del Ssn, innova i nomenclatori della specialistica ambulatoriale, introducendo prestazioni tecnologicamente avanzate ed escludendo prestazioni obsolete, ridefinisce e aggiorna gli elenchi delle malattie rare e delle malattie croniche e invalidanti che danno diritto all’esenzione, descrive con maggiore dettaglio e precisione prestazioni e attività oggi già incluse nei livelli essenziali di assistenza». Per la ministra della salute Beatrice Lorenzin servono 800 milioni l’anno per garantire i nuovi Lea, mentre per altri servirebbero almeno dagli 1,5 ai 3 miliardi. «Per tutte queste novità abbiamo chiesto 800 milioni di euro. E’ una stima basata su uno studio molto approfondito», aveva spiegato in luglio Lorenzin. «Mentre l’assessore lombardo al welfare Giulio Gallera avverte: «come regioni ritenamo che per far fronte alla spesa occorra un miliardo e mezzo di euro all’anno».
Il problema è sempre il contenimento dei costi per la sanità. E incombe la solita spada di Damocle: i tagli delle prestazioni erogabili. Lo scorso anno, proprio di questi tempi, aveva fatto sollevare ampie levate di scudi il decreto del ministero della Salute sull’appropriatezza prescrittiva. La norma rivedeva visite ed esami coperti dal Ssn e conteneva un elenco di 208 prestazioni quasi automaticamente cancellate. Il decreto toccava varie voci erogabili solo se rispettate certe condizioni, dall’odontoiatria alla radiologia diagnostica, fino agli esami di laboratorio. E i medici di famiglia che non avessero rispettato le regole del decreto rischiavano una riduzione dello stipendio. La misura poi non è stata mai approvata anche a seguito dell’ondata di polemiche che aveva suscitato. Ma ora con l’aggiornamento dei Lea si rischia che alcune voci diventino per così dire meno essenziali nel campo di azione del Ssn. Perché da un lato si è cercato di fissare livelli qualitativi inserendo prestazioni innovative per tener conto delle evoluzioni di questi anni. Innanzitutto c’è stata una ridefinizione e l’aggiornamento degli elenchi delle malattie rare e di quelle croniche e invalidanti.

Ad esempio tra le malattie croniche è ora inclusa l’endometriosi, che in Italia colpisce circa 3 milioni di donne. Ed è prevista l’inclusione di oltre 110 nuove malattie rare, come la sclerosi sistemica progressiva e la miastenia grave. La celiachia invece cambia classificazione e diventa una malattia cronica, non più una malattia rara. Mentre per quanto concerne i vaccini, entrano nei Lea l’anti-papillomavirus e l’anti-pneumococco. E’ stato poi profondamente rivisto l’elenco delle prestazioni di genetica inserendo la consulenza genetica. D’altro lato questi aggiornamenti caricano di costi aggiuntivi le finanze pubbliche che, dati i vincoli di debito, non arriveranno a garantire tutta la spesa: come si diceva solo 800 milioni sono coperti degli almeno 1,5 miliardi di spesa in più. Il finanziamento della parte restante potrebbe essere affidata a tagli, misure per avere maggiore efficienza, meccanismi di razionamento ben noti e che negli anni hanno dato luogo a difficoltà di accesso alla sanità, alle liste d’attesa, fino alla cosiddetta sanità negata, il fenomeno che per via dei costi esclude dalle cure pubbliche fasce sempre maggiori della popolazione. Secondo le rilevazioni del Censis, nel 2016 11 milioni di italiani rinunceranno a curarsi o rinvieranno le cure, 2 milioni in più rispetto al 2012. Non solo. Dove non arriva la coperta pubblica si rischia anche un rincaro del ticket. E Rbm Assicurazione Salute, che a fine giugno a Roma ha organizzato la sesta edizione del Welfare Day, avverte che i nuovi Lea prevedono un aumento della compartecipazione a carico degli italiani per circa 18 milioni, con maggiore incidenza nelle Regioni in piano di rientro, dove peraltro la garanzia dei Lea è più a rischio e le tasse sono più alte.

Affinché il sistema rimanga sostenibile e la qualità delle cure garantite ai cittadini non si riduca pur a fronte dell’aumento dei costi della sanità, una via di uscita è diversificare le fonti di finanziamento attraverso l’intermediazione della spesa sanitaria privata da parte delle forme sanitarie integrative (polizze salute individuali e fondi sanitari). La creazione di un secondo pilastro creerebbe un polo di acquisto da affiancare al Ssn in grado di poter spuntare con le strutture medico-sanitarie condizioni di prezzo ma anche possibilità di accesso più favorevoli (si veda l’intervista a seguire). Tanto più che oggi, sempre secondo l’Indagine Censis, sono 10,2 milioni gli italiani che hanno aumentato rispetto a qualche anno fa il ricorso al privato, soprattutto perché le liste di attesa nel privato si stanno allungando (72,6%). Cresce anche il ricorso all’intramoenia, quindi di tutta la sanità a pagamento (anche in questo caso la maggioranza, ovvero il 66,4%, lo fa per accorciare i tempi di accesso alle cure).

Rilevante è anche la questione dei prezzi delle prestazioni. Continua a crescere la quota di italiani che hanno trovato nel privato un prezzo uguale o di poco superiore al ticket: si è passati dal 39,8% del 2013 al 45,4% di quest’anno. Una situazione che, unita al fenomeno delle lunghe liste di attesa, convince sempre più persone a rivolgersi alle cure private, almeno chi se lo può permettere. Una cosa è certa: gli italiani, sempre secondo le rilevazioni del Censis, sono consapevoli degli sprechi nella sanità e di un certo eccesso di prestazioni inappropriate, ma hanno fiducia nei medici anche come baluardo contro la logica dei tagli. Proprio per scongiurarla, nell’intesa sui nuovi Lea, le Regioni chiederanno al governo di rispettare l’accordo sulle risorse complessive da destinare al Ssn nel prossimo biennio: 113 miliardi per il 2017, quindi 2 miliardi in più rispetto al 2016 e 2015 e 114,9 miliardi per il 2018. «E’ fondamentale che questi importi», ha spiegato il presidente della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini, «trovino una puntuale indicazione nella prossima Legge di Bilancio». Il bisogno di finanziamento è crescente perché la popolazione invecchia e le aspettative di cura dei cittadini aumentano». Nel frattempo gli iscritti alla sanità integrativa sono poco più di 11 milioni di persone, solo il 18% della popolazione italiana.
Tra le ultime iniziative nel settore c’è Rbm Salute, che ha deciso di includere nelle sue coperture anche le necessità sanitarie sorte dopo il sisma del 24 agosto tra Lazio, Marche, Abruzzo e Umbria (di solito sono esclusi gli interventi sorti a seguito di eventi eccezionali). La compagnia inoltre ha eliminato qualsiasi scoperto o franchigia, ovvero la quota da pagare che di solito resta a carico dell’assicurato, per le cure mediche che gli assicurati residenti nelle quattro regioni devono sostenere come conseguenza diretta del sisma. (riproduzione riservata)

Download (PDF, Sconosciuto)


Fonte: