di Francesco Sottile

È stato pubblicato nei giorni scorsi il Report “L’autonomia differenziata in sanità” prodotto dalla Fondazione Gimbe al fine di analizzare il potenziale impatto sul SSN delle maggiori autonomie richieste dalle Regioni in materia di tutela della salute.

Le analisi della Fondazione dimostrano che dal 2010 sono presenti enormi divari in ambito sanitario tra il Nord e il Sud del Paese e spiegano come l’autonomia differenziata possa portare al collasso non solo la sanità delle regioni del Sud, ma di tutto il Sistema Sanitario Nazionale.

Di seguito le principali evidenze del report:

  • Livelli Essenziali di Assistenza (LEA): le prestazioni sanitarie che le Regioni devono garantire gratuitamente o previo il pagamento del ticket – valutati con la griglia LEA nel decennio 2010-2019 emerge che nelle prime 10 posizioni non c’è nessuna Regione del Sud e che le tre Regioni che hanno richiesto maggiori autonomie si collocano nella top 5 della classifica. Anche nel 2020 e 2021 le regioni del Sud si collocano agli ultimi posti della classifica;

  • Aspettativa di vita alla nascita: a fronte di una media nazionale di 82,6 anni i dati dimostrano anche in questo caso livelli più alti nelle regioni del Nord (con Trento, Bolzano e Veneto che presentano un’aspettativa di 84,2 e 83,4 anni) e in fondo alla classifica le regioni del Sud (con Campania e Sicilia che hanno un’aspettativa rispettivamente di 81 e 81,4 anni)
  • Mobilità sanitaria: l’analisi dimostra la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord e la fuga da quelle del Centro-Sud: nel periodo 2010-2021 tutte le Regioni del Sud ad eccezione del Molise hanno accumulato complessivamente un saldo negativo pari a circa 13,2 miliardi, mentre in cima alla classifica per saldo attivo si trovano le Regioni del Nord (Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto su tutte);

Questo il pensiero di Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe; “complessivamente questi dati confermano che in sanità persistono inaccettabili diseguaglianze tra i 21 sistemi sanitari regionali. Siamo oggi davanti ad una frattura strutturale Nord-Sud che compromette qualità dei servizi sanitari, equità di accesso, esiti di salute e aspettativa di vita alla nascita, alimentando un imponente flusso di mobilità sanitaria dal Sud al Nord. Di conseguenza, l’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione, non potrà che amplificare le diseguaglianze già esistenti. Al di là di accattivanti slogan e illusori proclami è certo è che l’autonomia differenziata non potrà mai ridurre le diseguaglianze in sanità, perché renderà le Regioni del Centro-Sud sempre più dipendenti dalle ricche Regioni del Nord, le quali a loro volta rischiano paradossalmente di peggiorare la qualità dell’assistenza sanitaria per i propri residenti”.

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